TORINO 25 – "Lino", di Jean-Louis Milesi (Concorso)

LinoCome già avvenuto con Camille des Lilas et les voleurs d’enfants, Lino è un  prodotto “low-cost”, che rappresenta una delle proposte più alternative tra quelle in concorso al Torino Film Festival di quest’anno. Durante la ricerca che lo mette sulle tracce del padre naturale del bambino orfano di madre, il protagonista si confronta con sé stesso e con l’ombra della donna di cui è stato innamorato

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LinoLino è tutto ciò che resta di lei. Dopo una vita intensa e affettivamente raminga, segnata dalla piaga della tossicodipendenza, Emily muore. Parte da qui il terzo lungometraggio di Jean-Louis Milesi, eclettico artista francese nato in Italia, autore di più di una sceneggiatura per il marsigliese Robert Guédiguian, musicista e montatore, oltre che regista. Come già avvenuto con Camille des Lilas et les voleurs d’enfants, il suo precedente lavoro più vecchio di due anni, Lino è un  prodotto “low-cost”, che rappresenta una delle proposte più alternative tra quelle in concorso al Torino Film Festival di quest’anno. Girata in DVcam, l’opera di Milesi concentra in poco più di un’ora immagini di vita quotidiana che catturano le tenerezze di un padre rivolte al figlio di due anni, dal risveglio del mattino ai giochi nel parco, dalle consuete passeggiate alla buonanotte. Ma l’uomo protagonista del film non è il vero padre di Lino, il bambino con cui condivide teneramente le sue giornate. È il figlio della donna che ha amato, il frutto di un rapporto avuto con un altro uomo prima di lui, del quale però si è sempre occupato dal giorno in cui la incontrò. Ora che lei è morta l’uomo ha bisogno di ritrovare il vero padre di Lino per riconsegnarlo alla sua famiglia, ma il legame che si è instaurato nel tempo tra lui e il piccolino è già fortissimo.

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Durante la ricerca che lo mette sulle tracce del padre naturale del bambino orfano di madre, il protagonista si confronta con sé stesso e con l’ombra della donna di cui è stato innamorato. Dalle testimonianze raccolte da suo padre e da quelle dei suoi amanti precedenti, ricostruisce l’identità di quell’uomo, ma non solo. È l’identità di Emily a riemergere a poco a poco, il suo profilo a chiarirsi, rivivendo nei ricordi di chi la conosceva e l’amava, nelle parole di amici e parenti. Il suo volto non appare mai nel corso del film, se non in una delle sequenze finali, quando, ormai alla fine del viaggio, la riconosciamo insieme al protagonista in una piccola foto, stretta tra le mani di lui proprio mentre prende definitivamente coscienza dell’amore che lo lega al piccolo, accettando per sé il ruolo di padre. In quell’attimo è l’uomo stesso a riappropriarsi della propria identità, fin dall’inizio messa in discussione (emblematica la scena che lo ritrae di fronte allo specchio, a colloquio con l’immagine riflessa, simbolo della frantumazione e della moltiplicazione dell’io, questione ulteriormente complicata dal fatto che il personaggio del film sia interpretato proprio da Jean-Louis Milesi e che il Lino che dà il titolo alla sua opera, sia effettivamente suo figlio nella vita reale). Nascoste al di là di un impianto narrativo apparentemente semplice, illustrato da una tecnica visiva quasi documentaristica che tende ad appiattire, Lino suggerisce perciò traiettorie alternative: tutto sta nel saperle riconoscere.

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