TORINO 25 – "Morceaux de conversations avec Jean-Luc Godard" di Alain Fleischer (Lo stato delle cose).

 

Morceaux de conversations avec Jean-Luc Godard di Alain Fleischer vede Jean-Luc Godard alle prese con la febbrile progettazione di installazioni o mentre elabora nuove idee con i suoi illustri interlocutori. La radicalizzazione che dà luogo ad una nuova ipotesi di cinema per approdare alla “semplicità” dell’immagine traducono le epifanie del pensiero godardiano.

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Alain Fleischer, che è un personaggio che ha molto a che fare con il cinema sia per avere diretto moltissimi film, alcuni di pura sperimentazione e altri in forma più consueta, apprezzato fotografo e scrittore, in questo suo documentario Morceaux de conversations avec Jean-Luc Godard, ospitato nella sezione Lo stato delle cose, ci permette di incontrare ancora una volta Jean-Luc Godard. Sul regista franco-svizzero molto si è scritto ed egli stesso in questi frammenti di conversazione ironizzando sul tema sostiene che in larga parte sono state scritte falsità, e molti documenti visivi sono stati realizzati. Non è quindi particolarmente originale l’idea di Fleischer di fermare sul video le parole e le teorie dell’autore e teorico francese, ma ogni volta e anche in questo caso, si tratta di un’ennesima occasione che conferma l’importanza della visione. Il film, nato in occasione della retrospettiva dedicata dal Centro Pompidou all’autore, è stato girato in più luoghi e con più interlocutori tra cui Jean Narboni, Dominique Paini, Andrè Labarthe e anche Jean Marie Straub con l’inseparabile e compianta Danièle Huillet. Tra la sua casa in Svizzera, il Fresnoy e il Centro Pompidou questi protagonisti, intessono con Godard conversazioni o progettano mostre, iniziative, possibili applicazioni del cinema e dell’audiovisivo più in generale. Ma come sempre è Godard al centro dell’attenzione e le sue illuminazioni, frammiste ad altrettanto illuminanti provocazioni, ancora una volta colgono il segno aprendo nuove prospettive o aggiustando e correggendo quelle già acquisite. Crediamo che per lo spettatore del cinema sia pratica mai sufficientemente apprezzata quella di ascoltare le parole di Jean-Luc Godard e non importa, in fondo, l’assoluta condivisione di quanto egli sostiene, quanto gli assunti e l’argomentare. Il suo genio si esprime proprio nella radicalizzazione di ogni argomento, nella destrutturazione di ogni ipotesi cinematografica, di ogni situazione che possa costituire l’origine di una nuova congettura del pensiero da trasformare, successivamente, in immagine. Proprio partendo da questa radicale scelta Godard afferma che il piacere della condivisione del cinema può perfino avere influenze sulla vita di coppia. Secondo questa idea, infatti, una coppia può vivere benissimo se gli interessi tra i partner sono differenti, ma è destinata al fallimento se non si condividono gli stessi gusti al cinema.

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Proprio questa iperbolica affermazione ci conduce alla conclusione che tutto, nel pensiero di Godard, parte dalla complessità per giungere alla sua più scarna semplificazione, la stessa scarna e complessa semplicità delle sue immagini. Un processo che, ad esempio, gli fa affermare che il cinema è quello che solo la macchina da presa può vedere o che la macchina da presa non è certezza, la macchina da presa è dubbio forme di pensiero forse già acquisite che però si trasformano, non appena pronunciate, in epifania del cinema stesso, confermando la forza della maieutica che risiede nelle sue parole. Godard, che ha attraversato il secolo scorso e che ha segnato generazioni di autori e che ha influenzato altrettante generazioni di studiosi, è qui osservato nella sua febbrile progettazione di installazioni o nella elaborazione di nuove idee e riusciamo a cogliere la sua autentica e quasi infantile commozione mentre racconta, nel finale del documentario, ciò che non è riuscito a realizzare all’interno del Centro Pompidou, ma con la sua solita sagacia e sintesi teorica, nell’osservare chi riprende la scena con una telecamera provvista di visore dice la cinepresa ha un solo occhio non esiste nessun pittore che dipinga con due pennelli, la semplicità estrema frutto di una genialità indomita, che non smetterà mai di stupire, di incantare e di insegnare che il cinema è il cinema.

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