TORINO 25 – "Neandertal" di Ingo Haeb e Jan-Christoph Glaser (Concorso)

Il rinnovamento, il mutar pelle, implica sempre un abbandono, un lasciar dietro qualcosa che ci è appartenuto. Un passaggio apparentemente desiderabile, che non può avvenire senza dolore. Haeb e Glaser ci parlano della crescita, della linea d’ombra, ma il film sembra disperdersi in mille rivoli, in frammenti di senso che faticano a trovare una compiutezza

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NeandertalMutar pelle, come il serpente. E’ un rinnovamento che implica sempre un abbandono, un lasciar dietro qualcosa che ci è appartenuto. Proprio la pelle, magari, che reca incisi su di sé i segni di ciò che è dentro. Cambiare è rinunciare al proprio animo di un tempo, a pensieri, sentimenti, tremori di una volta. Vorrebbe essere questo Neandertal, film tedesco di Ingo Haeb e Jan-Christoph Glaser. Guido è un ragazzo di diciassette anni affetto da una neurodermatite, che lo affligge sin dall’infanzia. Dopo una crisi acuta, che lo costringe a un ricovero in ospedale, decide di adottare una cura drastica, rifuggendo da alcool e fumo. Ma per caso scopre che il rapporto tra i genitori è turbato da tempo dai ripetuti tradimenti del padre. In preda alla rabbia, si trasferisce dal fratello maggiore e conosce Rudi, un “duro” anticonformista, abituale consumatore di droghe. Sotto la guida di Rudi, sembra che lo stato di salute di Guido possa migliorare. Ma prima o poi i nodi vengono al pettine. In un’ora e quaranta di film accadono tante di quelle cose, che sembra impossibile che Haeb e Glaser arrivino al fondo di tutto. La malattia di Guido è il segno epidermico di un disagio adolescenziale ancora da affrontare. Ma anche, paradossalmente, di un’alterità da preservare. La conoscenza di Rudi, cioè della “durezza” delle cose, segna il passaggio, la linea d’ombra. Un passaggio apparentemente bello, desiderabile, ma in realtà impossibile da attraversare senza lasciar in pegno qualcosa. Volti, gesti, affetti. Si muore per vivere. Proprio come si estinse l’uomo di Neandertal lasciando spazio all’homo sapiens (non a caso “saggio”). Haeb e Glaser non si fermano qui, collocando il loro discorso in un periodo storico particolare, quello della riunificazione tedesca, che avrebbe comportato di per sé altri problemi di “evoluzione” politica e sociale. Ma il collegamento sembra pretestuoso, e il film, nella sua estetica veloce, alla moda, si disperde continuamente in mille rivoli, in frammenti di senso che rimangono “in potenza”, ma che faticano a compiersi.

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