TORINO 25 – "The Art of Negative Thinking", di Bard Breien (Concorso)
"The Art of Negative Thinking" è la devastante e nerissima terapia, a tratti gustosamente farsesca, con cui saranno trattati tutti i protagonisti del film per provare insieme ad uscire dall'incubo della commiserazione.
The Art of Negative Thinking potrebbe appariere come il manifesto scomposto e presuntoso di qualche psicologo santone. Uno di quelli che animano il panorama televisivo o incensano la banalità della carta stamapata. Invece è il titolo di questo piccolo film norvegese sbarcato in Concorso al Festival di Torino e plasmato dal suo auture, Bard Breien, qui al suo esordio nel lungometraggio e nella sceneggiatura, con decisa personalità. Siamo in zona Dogma, non solo per la provenienza della pellicola dalle lontane terre Vichinghe ma per una certa atmosfera da "scene d'interno", assai tangibile nella macchina a mano nella piccola introduzione ad aprire il film. Ma solo un breve detour perchè il racconto di Breien prende strade ben diverse. Geirr (Fridjov Sàhaeim) è rimasto sulla sedia a rotelle dopo un incidente, così la giovane moglie Ingvild (Kisti Torhaug) decide che è necessario, anche per lei, farlo uscire dal suo eremo fatto di film d'azione, ballate di Johnny Cash e dall'aspetto da reduce un pò Il Cacciatore e un pò Nato il 4 luglio. Si affida così ad un gruppo di sostegno coordinato da una solerte e convinta terapeuta pronta al salto di qualità per i suoi successi con i pazienti che ha in cura. Peccato che Geirr non ne abbia nessuna intenzione, arroccato nella sua solitaria commiserazione alleggerita da lunghe sedute a base di ottima erba. Soprattutto non vuole che il piccolo gruppo entri nella sua casa e nella sua vita per metterlo di fronte allo specchio della propria diversità. L'anima di questo film è proprio il tocco con cui Bard Breien mette in scena le differenza tra chi vive l'handicap e chi ne subisce le conseguenze. L'incomprensione delle persone che ti stanno vicino e la solitudine di chi si sente abbandonato. Il dolore di un corpo senza vita e la depressione di un futuro di abbandono. Colpi drammatici che segnano l'esistenza e a volte anche lo sguardo dello spettatote. Ma Breien svolta ben prima del fantasma melodrammatico del cupo pietismo, cerca una via d'uscita, e lo fa aggrappandosi alla forza dissacrante della gelida ironia di Geirr, che riesce a ribaltare e a cambiare lo stato depressivo del gruppo con la provocatoria e disperata arte del pensiero negativo (ricordando l'istrionismo di Nicholson/McMurphy di Qualcuno volò sul nido del cuculo). Devastante e nerissima terapia, a tratti gustosamente farsesca, con cui saranno trattati proprio tutti per provare insieme ad uscire dall'incubo della commiserazione.