TORINO 27 – "Baseco Bakal Boys", di Ralston Jover (Concorso)

baseco bakal boys

Il filippino Jover non può rinunciare alla scrittura e sceglie la via della messa in scena. E se sembra sovrapporre il piano della realtà a quello della finzione, per scoprire il corto circuito continuo tra il cinema e la vita, lascia, a tratti, vagare lo sguardo dall’osservazione alla pura visione. Fino a scivolare pian piano in un mondo di fantasmi e sirene, evanescente e impalpabile

 

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baseco bakal boysBaseco, quartiere poverissimo alla periferia di Manila, è il regno dei Bakal Boys, ragazzini che cercano di far quattrini recuperando in mare rottami da rivendere ai rigattieri.
Anche i giovanissimi Utoy e Bungal, compagni di scuola e amici per la pelle, sono normalmente dediti alle immersioni illegali. Un giorno, in compagnia di altri Bakal Boys, riportano in superficie un’ancora. Pezzo ‘pregiato’, che potrebbe valere un mucchio di soldi. I Bakal Boys si precipitano dal rigattiere. Ma poco dopo, si rendono conto che Bungal è come scomparso nel nulla. Solo sua nonna, Lola Salvia, e il piccolo Utoy si danno da fare per trovarlo. Baraccopoli e periferie degradate, l’indifferenza e l’egoismo che nascono da una povertà spiazzante, eppur naturale. E’ il quadro desolante e cupo di una società ai margini, tagliata fuori da uno sviluppo incerto e irregolare, di un mondo in cui neanche la disperazione e il dolore sembrano più smuovere gli animi. Ralston Jover sembra seguire la via del documentario, come già aveva fatto nel precedente Marlon. Sta sul campo, fa ricerche, interviste, sopralluoghi, registra le immersioni. Ma è uno spiazzamento. Memore della sua lunga attività di sceneggiatore, anche al fianco di Brillante Mendoza (Manoro, Foster Child, Tirador), Jover non può rinunciare alla scrittura e sceglie la via della messa in scena. E se sembra sovrapporre il piano della realtà a quello della finzione, per scoprire il cortocircuito continuo tra il cinema e la vita, lascia, a tratti, vagare lo sguardo dall’osservazione alla pura visione. Le splendide scene delle immersioni aprono gli occhi lungo una prospettiva magica, che scompagina e devia il senso dell’immagine. Il pedinamento del piccolo Utoy si perde nel mistero di un mare notturno ormai irrimediabilmente ultraterreno e la stessa sparizione di Bungal si tramuta, da dato tragico, in una specie di avventura antonioniana. E così il cinema di Jover si allontana da quello di Mendoza, gravido di corpi, umori e rumori, per scivolare pian piano in un mondo di fantasmi e sirene, evanescente e impalpabile. Lontano dalla straziante urgenza delle cose.       
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