TORINO 27 – "Chi l'ha visto", di Claudia Rorarius (Concorso)

chi l'ha visto

Il film della Rorarius è un road movie che si muove, armonicamente, tra fiction e documentario. L’intrecciarsi di elementi, in bilico tra realtà e finzione, arricchisce l’esordio che racconta, con sincera partecipazione, il profondo spaesamento del suo protagonista e il cammino di solidarietà attraverso un’Italia diversa, marginale e sconosciuta, quasi più bella di quella che abbiamo sotto gli occhi

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chi l'ha vistoNon si può prescindere dalla direzione artistica, quando si riflette su un palinsesto di un festival e non vi è dubbio che un film come Chi l’ha visto abbia toccato le sensibili corde di Gianni Amelio, la cui poetica ha spesso messo al centro una forte necessità di paternità. Forse per questo ha voluto personalmente presentare il film in sala, al suo debutto al Festival di Torino, nella sezione principale.

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Gianni Meurer, di madre tedesca, parte dalla Germania alla volta dell’Italia, alla ricerca del padre italiano che da bambino ha avuto appena il tempo di conoscere e che non rivede da moltissimi anni. Tenterà per questo di partecipare alla famosa trasmissione televisiva dalla quale il film prende il titolo.

Un road movie che si muove, armonicamente, tra fiction e documentario, con la macchina da presa, a mano, incollata sul corpo e sul volto del suo protagonista. Un film che ha il pregio delle opere prime e nessuna presunzione da esordio. Sapiente nel raccontare le speranze e i sogni e le profonde inquietudini del suo protagonista. Un personaggio vitale e sconsolato, nell’alternarsi delle vicende di questo dramma parzialmente biografico (a cominciare dal nome dell’attore visto che nel film il personaggio e l’attore hanno il medesimo nome), poiché il vero Gianni Meurer non ha quasi conosciuto il padre che ha abbandonato la famiglia quando lui era ancora molto giovane.

È proprio questo intrecciarsi di elementi, in bilico tra realtà e finzione, che arricchisce l’originalità di quest’opera prima che racconta non soltanto una storia che si snoda lungo le strade della Germania per arrivare a quelle italiane, ma soprattutto del profondo spaesamento del suo protagonista che ha la necessità di perdersi per potere ritrovare anche una propria definitiva identità nell’età di passaggio tra la giovinezza e la maturità. Profonde tracce di uno sguardo (auto)biografico sembrano segnare i film che si stanno susseguendo sugli schermi del festival, un preciso segnale, che fa emergere la voglia di rendere disponibili le proprie inquietudini per una riflessione che sia collettiva. Chi l’ha visto, nella forma disinvolta che esibisce, contribuisce a questo scopo e Claudia Rorarius sa costruire un film di profondi sentimenti, affidandosi non soltanto alla straordinaria sensibilità del suo attore – protagonista, ma soprattutto, alla sua capacità di trasferire il dolore o la gioia, la speranza e la delusione, dal set alla “realtà” del cinema, alla “irrealtà” televisiva mimata e svuotata di ogni reale essenza, ma piena della consueta retorica, in un amaro siparietto che Gianni improvvisa nella sua camera d’albergo.

Un film che non è soltanto la ricerca del padre, ma diventa cammino di solidarietà attraverso un’Italia diversa, marginale e sconosciuta, quasi più bella di quella che abbiamo sotto gli occhi così come la regista tedesca ce la presenta. Un cinema, quello della Rorarius partecipativo e inteso che muove da una profonda personale necessità e la cui persuasiva sincerità attraversa lo schermo e raggiunge la platea.

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