TORINO 27 – "Guy and Madeline on a park bench", di Damien Chazelle (Concorso)
Chazelle riesce a coniugare nell’opera entrambi gli elementi (della sua vita?) che gli stanno a cuore: il jazz ed il cinema, con una voglia di sperimentare che, sebbene molto legata al cinema indipendente degli anni ’50, garantisce all’opera leggerezza ed immediatezza che ne rappresentano gli aspetti più interessanti
L’altro elemento che affiora fortissimo durante la visione è quello del citazionismo, ma non come strizzatina d’occhio intellettuale al cinefilo, piuttosto come bagaglio culturale ancora freschissimo ed eccitante che l’autore tenta faticosamente (e senza successo) di tenere a freno. Il film nasce, infatti, come cortometraggio di fine corso all’Università di Harvard, ed è difficile non pensare agli studi su Godard quando la macchina da presa si attacca ai volti per catturarne le più intime espressioni nei dialoghi, oppure a quelli su Cassavetes nelle passeggiate senza stacchi.
Il bianco e nero stesso (in HD ma volutamente sgranato), oltre ad essere il linguaggio naturale per il jazz (il bianco e il nero sono in un certo senso i suoi confini), è già di per se una citazione di quel cinema indipendente degli anni ’50.
Tutto questo citazionismo (sarà perché non vi si percepisce malizia) non disturba, anzi sembra rafforzare la leggerezza ed immediatezza che rappresentano, senz’altro, gli aspetti più interessanti dell’opera.