TORINO 27 – Retrospettiva Nicolas Provost (Onde)

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Il Torino Film Festival rende omaggio al regista e videoartista belga Nicolas Provost. Autore di opere narrative, ma anche di esperimenti visivi, Provost rivela lungo tutta la sua produzione una ricerca dell'interiorità umana che porta il protagonista, ormai adagiato nella moderna contemporaneità, a rimanere isolato, alle prese con le paure che nascono dal suo animo.

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Videoartista e regista cinematografico, creatore e manipolatore di immagini, stupendo artefice di atmosfere in cui nel finale è sempre la solitudine a restare, Nicolas Provost è nato a Bruxelles nel 1969 e ha passato dieci anni ad Oslo, per ritornare in Belgio ed iniziare così la sua carriera di artista.
L’opera di Provost tende sempre ad un qualcosa che non arriva mai, alla subitanea speranza fa sempre da contraltare una delusione che conclude la storia, che lascia sempre qualcosa di sospeso, di spaventoso. Le sue produzioni solo puri attimi, momenti descrittivi che non possono avere un vero finale perché manca sempre qualcosa, qualcosa a cui l’uomo tende, insegue girando attorno a se stesso (Plot point). E questa ricerca lo porta a mascherarsi o a rivelarsi, cosicché l’elemento disturbante viene a rappresentare un elemento interiore allo stesso protagonista, travagliato da un senso di disagio che rende ogni rapporto, ogni avvicinamento impossibile. Bloccato dal proprio smarrimento l’uomo vede apparire le proprie paure (Induction) con le quali si mischia e si fonde, dalle quali tenta di fuggire rimanendone sempre così vicino, in una sorta di labirinto kubrickiano. Assenza di contatti, assenza di dialoghi e di rapporti resi ancor più difficili da una lingua che non appartiene al protagonista (Exoticore) e si trasforma in un gioco di specchi mentali in cui Provost fa esplodere tutta la sua potenza immaginifica per mostrare un proprio doppio (Papillon d’amour), una propria coscienza separata da una sottile linea di demarcazione che ostacola il contatto tra conscio ed inconscio, uguali ma paralleli senza possibilità di incrociarsi. Doppi metafisici, doppi fisici e corporali sorpresi da una comune situazione di inettitudine, di incapacità a comprendersi e di capirsi (Oh Dear…) in uno spazio-tempo che non appartiene ad entrambi nello stesso modo e in cui l’essere umano entra in crisi.
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Nell’alternare creazioni visive a opere narrative Provost rimane fedele ad una poetica al cui centro vi è l’individuo, il “diverso”, colui che si distingue dalla massa e, proprio per questa scelta, rimane solo. Così è Gravity, collage di sequenze cinematografiche prese da celebri film, baci appassionati che si sovrappongono a mano a mano fino ad arrivare a Hiroshima mon amour, all’addio tra Emmanuelle Riva e Eiji Okada; così è The divers, ripresa di una città illuminata da fuochi d’artificio, mentre su un terrazzo un uomo e una donna non riescono ad avvicinarsi; così è Exoticore, mediometraggio del 2004, in cui il protagonista, proveniente dal Burkina Faso, non riesce a trovare contatti umani tra i norvegesi con cui lavora e si vede costretto a trovare una propria identità solo indossando una maschera da leone.
Tra omaggi cinefili (Akira Kurosawa e Russ Meyer) e personali rivisitazioni di modelli del passato, l’opera di Nicolas Provost si delinea così intensa, così attuale anche nei suoi apici puramente visivi (Suspension), da costituire un enorme spaccato della moderna contemporaneità in cui l’uomo deve avere paura solo di se stesso, del suo interiore, perché ormai l’esterno si è prosciugato di ogni possibile sfumatura emotiva.
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