TORINO 28 – "Henry", di Alessandro Piva (Concorso)
Anti-cinema a doppio strato, dove la (orribile) vicinanza al prodotto televisivo si compie nella più assoluta superficie. Come se Piva avesse inteso davvero abbattere definitivamete i confini dei due mezzi, per documentare la perdita di un linguaggio. Più (ir)reale del reale. Premio del pubblico
Sulla carta un film coraggioso e sostanzialmente inconsueto per il panorama cinematografico italiano. Una storia di droga, omicidio, camorra e polizia che Piva realizza rinunciando alla pellicola per affidarsi all'Alta definizione semidocumentaristica del digitale. L'incertezza dei toni tra una messa in scena tesa al realismo e certi tratti grotteschi e improbabili (ma il killer interpretato da Dino Abbrescia con "pistola, parrucca e braccialetto" resta nella memoria) non giova a un film complessivamente fragile, le cui strambe ingenuità non impediscono qua e là l'affiorare di un fascino perverso e subculturale. Un noir metropolitano a conti fatti decisamente sbilanciato verso sfumature caricaturali esibite e ridondanti. Lo sviluppo narrativo, a suo modo non disprezzabile per ritmo e struttura, segue la simulazione seriale dei tanti distretti e squadre che affollano i piccoli schermi nazionali. Anti-cinema a doppio strato, dove la (orribile) vicinanza al prodotto televisivo si compie nella più assoluta superficie. Come se Piva, assumendosi tutti i rischi del caso, avesse inteso davvero abbattere definitivamete i confini dei due mezzi, per documentare la perdita di un linguaggio. Più (ir)reale del reale.