TORINO 29 – "Attack the Block", di Joe Cornish (Concorso)

Lotta senza quartiere nella periferia di Londra: alieni venuti dallo spazio contro baby-gang, in un frullato di reminiscenze carpenteriane (e non solo). L’opera prima di Joe Cornish è un divertente omaggio alla serie B degli anni Settanta e Ottanta,. filtrata attraverso una dimensione politica che è quella – attualissima – dell’emarginazione sociale e culturale del mondo globalizzato. Più superficiale di quanto non sembri in realtà, Attack the Block rimane un godibile prodotto di intrattenimento, realizzato con innegabile mestiere ma ad alto rischio di sopravvalutazione

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Attack the Block arriva al Festival di Torino dopo il grande successo riscontrato a Sitges: logico quindi che le aspettative per il film di Joe Cornish fossero decisamente alte, almeno stando a quello che si è potuto leggere e sentire finora nelle riviste specializzate. Del resto, il nome del regista non suona di certo come nuovo: sceneggiatore dello spielberghiano Le avventure di Tintin. Il segreto dell’unicorno, nonché componente attivo del team formato da Edgar Wright (Shaun of the dead, Hot Fuzz), Simon Pegg e Nick Frost (qui attore), esordisce ora dietro la macchina da presa con un prodotto da lui stesso presentato come “un incrocio tra Super 8  e 8 Mile”.  Ambientata in un quartiere periferico di Londra, abbandonato a sé stesso e dominato da baby gang, la pellicola immagina la discesa sulla terra di una misteriosa razza di alieni, simili a cani senza occhi e con le fauci fosforescenti, in netto contrasto con il nero profondissimo e imperscrutabile del loro manto: a fronteggiare la minaccia ci penserà proprio una banda di giovani delinquenti di strada, formata da ragazzi (perlopiù di colore) senza prospettive né ideali. Appare quindi molto chiara la metafora sociale che Cornish vuole attribuire al film, dando ai suoi protagonisti quella possibilità di redenzione che l’attuale contesto storico e sociale non potrebbe altrimenti garantire; e così, nell’arco di una sola notte, Attack the Block è il resoconto di uno scontro vecchio quasi quanto il cinema (“noi” contro “loro”), chiuso prevalentemente dentro i confini di un condominio per gente abbietta ed emarginata dalla società. Cornish non spiega nulla sulle origini della razza invasore, per concentrarsi unicamente sul ritmo e sui tempi serrati, ammiccando simpaticamente alla serie B e tentando di aggiornarla con connotazioni tristemente attuali. Le citazioni si sprecano (Carpenter è sempre lì, dietro l’angolo) e in più di un’occasione torna alla mente il recente The Horde: infatti, come nell’horror francese  di Yannick Dahan e Benjamin Rocher, l’azione è tutta concentrata tra le mura e i corridoi del palazzo, mentre fuori impazza il caos (là gli zombi, qua gli alieni). E proprio come in The Horde, inoltre, la metafora sociale diventa preponderante: non più la banlieu degli scontri con la polizia, ma la periferia di una delle città più grandi del mondo, alle prese quotidianamente con la criminalità di strada. Nonostante tutto questo però, Attack the Block suscita più simpatia che ammirazione incondizionata: in parte per l’onnipresente sensazione di déjà vu, certo, ma soprattutto perché gli intenti sociologici di Cornish sembrano fermarsi alla superficie delle cose, rimanendo più abbozzati che altro. E a voler essere del tutto sinceri, prenderli eccessivamente alla lettera significa però considerare anche il rovescio della medaglia: e cioè che l’atteggiamento assolutorio nei confronti dei membri della gang, sebbene poco più che adolescenti, suscita oggettivamente più di una perplessità. Non siamo certo dalle parti dell’eroismo tragico di Distretto 13 – Le brigate della morte, dove persino un criminale incallito come Napoleone poteva trovare redenzione; qui invece, lungi da qualsiasi moralismo, non si capisce perché si dovrebbe provare simpatia per una manciata di teppisti imberbi che non si fanno scrupolo di commettere atti violenti (come nella scena iniziale), salvo poi cercare un’opportunità di riscatto dinanzi all’invasione aliena. Meglio lasciar perdere quindi l’aspetto sociale del film, concentrandosi sul ritmo e la velocità di un prodotto di intrattenimento di buon livello ma ad alto rischio di sopravvalutazione. Divertente e realizzato con un innegabile talento per la messa in scena, certo, ma i veri cult sono un’altra cosa.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array