TORINO 29 – "Le vendeur", di Sébastien Pilote (Concorso)


La stagione dipinta da Sébastien Pilote nel suo lungometraggio d'esordio è un inverno in cui ci si scioglie da una paralisi emotiva per forse rinchiudersi in un luogo ancora più freddo del proprio cuore. Un dramma della sopravvivenza in un'implosione di sentimenti. Superlativo Gilbert Sicotte

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Le vendeurUn gelido inverno, ma di ben altra specie rispetto al film vincitore di Torino lo scorso anno. La stagione dipinta da Sébastien Pilote nel suo lungometraggio d'esordio è, così immersa nel profondo nord canadese, un inverno in cui ci si scioglie da una paralisi emotiva per forse rinchiudersi in un luogo ancora più freddo del proprio cuore. Marcel Lévesque è da anni il “venditore dell'anno” nella concessionaria in cui lavora. Non sbaglia mai un colpo, anche grazie a una certa sensibilità verso il prossimo, ma Marcel, da quando è rimasto vedovo, pensa sempre di più solo al lavoro, concedendosi dei momenti familiari con la figlia Maryse e il nipotino Antoine. Tuttavia, l'uomo non sembra arrendersi all'età che passa, al momento in cui dovrà andare in pensione, tanto quanto gli operai della fabbrica locale, che dà lavoro alla maggior parte degli uomini nella piccola cittadina, non si arrendono nella loro protesta e continuano per 256 giorni a lottare invano.

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È proprio in questo momento di verità che Pilote coglie il suo personaggio, entrando nel suo animo, quasi fisicamente grazie alla costante vicinanza della macchina da presa. Marcel si trova spesso a guardare verso l'orizzonte, incorniciato da una finestra, ripreso sempre di spalle, negandoci la visione del suo volto, come a voler trasmettere la sua incapacità di guardare oltre, di vedere il futuro per quello che veramente è, mentre si offre ai nostri occhi solo una distesa bianca, che tutto copre, portando con sé il resto, nascondendo ciò che si fa fatica ad ammettere. Fino al momento della tragedia, la sua epifania joyciana, che si dischiude inesorabile e lenta per Marcel tanto quanto per lo spettatore, un dramma annunciato sin dalle primissime immagini del film, ma che solo allora acquistano significato, rendendo quel bianco macchiato di sangue ancor più tragico e simbolico. Ecco che allora lo si coglie sempre più da vicino, sempre più in primo piano, frontale, finalmente incrociando il suo sguardo. Se prima viveva per il suo lavoro, ora Marcel ha solo quello. E i suoi ricordi, che si materializzano in voci lontane, registrate casualmente, che tornano a dare consolazione o trascinare ancor più nella silenziosa disperazione, mentre il tempo si dilata, si fa irregolare rispetto alla precisa e ritmica scansione precedente. Tutto sembra morire attorno, invece i morti continuano ad avere una forza vitale che manca a coloro ancora in vita. Pilote disegna così, soprattutto grazie al superlativo Gilbert Sicotte, un intenso dramma interiore, un'implosione di sentimenti, quasi per paura di viverli veramente, che si rispecchia nel dramma sociale che serpeggia in tutto il film, retaggio del passato da documentarista di Pilote, espandendosi pian piano, fino all'esplosione finale, ennesimo colpo per Marcel. Dramma della sopravvivenza, in attesa che l'inverno si muti in primavera.      

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