TORINO 29 – "Terri", di Azazel Jacobs (Festa Mobile)


Azazel Jacobs avvolge i suoi personaggi in una sorta di ipnotica progressione verso il nulla, con il gigantesco corpo di Jacob Wysocki che occupa sempre l’intera inquadratura intasando gli usuali tempi narrativi. Ma al depresso Terri serve una spalla, un controcampo, ed ecco l’ennesima prova: John C. Reilly è letteralmente il corpo/America più scrivibile degli ultimi dieci anni, un attore che ha saputo fondere genere, autorialità e sublime camaleontismo

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Terri

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Ragionare sulle diversità è sempre stata una delle armi vincenti del cinema americano. Mettere in campo le sofferenze associate alla crescita, il disadattamento a preludio dell’american dream o anche del semplice riscatto nell’amicizia. La nuova commedia malinconica post 11 settembre ha rilanciato in pieno questo tema, associando la crescita di una generazione assediata dalla paura alla solidarietà nata nei banchi di scuola o nelle strade cittadine: gli sboccati buddy movies virati decisamente verso l’intimismo. Terri, da questo punto di vista, è un film di confine tra l’indie puro sponda newyorkese (il regista è il figlio di Ken Jakobs, un'impronta quasi genetica…) e la nuova commedia hollywoodiana in stile Jude  Apatow (con John C. Reilly come fedele testimone). Terri è un ragazzo obeso e depresso, abbandonato dai genitori e adottato dal vecchio zio, vestito perennemente con un pigiama perché “è più comodo”: ovvio (e a suo modo classico) il disadattamento sociale e la solitudine cronica che lo attanaglia. Azazel Jacobs avvolge i suoi personaggi in una sorta di ipnotica progressione verso il nulla, con il gigantesco corpo di Jacob Wysocki che occupa sempre l’intera inquadratura intasando gli usuali tempi narrativi: Terri viene colto in piccoli gesti e rituali, in malinconici sguardi verso l’universo femminile così tristemente lontano e persino nelle inquietanti perversioni di tortura a piccoli animali indifesi. Terri, insomma, è un freak: un corpo/sofferenza come solo il grande Jonah Hill ha saputo incarnare in questi anni. E proprio come nel gioiellino dei fratelli Duplass, Cyrus, diventa indispensabile una spalla: un controcampo da trovare sempre e comunque nello sguardo paterno di John C. Reilly. Ecco l’ennesima prova: Reilly è letteralmente il corpo/America più scrivibile degli ultimi dieci anni, un attore che ha saputo fondere generi, autorialità e camaleontismo in una tradizione di caratteristi doc che parte da Walter Brennan e arriva a Joe Pesci. Qui è il preside della scuola di Terri: "gigante buono” che lo accoglie, ne diventa amico, commette errori madornali, provoca la sua sofferenza e cerca di rimediare. John  C. Reilly è lo spirito americano fatto corpo e personaggio. E sta tutta qui l’intelligenza registica di Jacobs che non vuole né seguire le inarrivabili derive dell’immagine del celebrato padre, né tantomeno le soffocanti ambizioni autoriali di altri suoi colleghi contemporanei: gli ultimi film di Todd Solondz e Alexander Payne non raggiungono minimamente tanta urgenza emotiva. Terri che cammina solo nei campi col suo enorme pigiama, sdraiato silenzioso sui banchi di scuola o in una vasca da bagno: sono inquadrature che da sole valgono un’emozione…

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