TORINO 30 – "Am Himmel der Tag (Breaking Horizons)", di Pola Schirin Beck (Concorso)

TORINO 30 - Am Himmel der Tag, di Pola Schirin Beck (Concorso)

Pola Schirin Beck, regista tedesca cresciuta nel Berlinale Talent Campus, è al suo esordio nel lungometraggio dopo alcuni corti. Il talento non le manca: il suo sguardo energetico e vivace apre il film con un bacio e una goccia di saliva, lo chiude con il passaggio del sole su un volto che ritorna alla vita. Ma tra inizio e fine impone alla sua protagonista una tragedia immotivata, senza riuscire a creare le condizioni perchè il dramma si sviluppi

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Con Breaking Horizons la Beck si propone di raccontare "lo Zeitgeist dei giovani adulti di oggi", il loro smarrimento di fronte a una "varietà infinita di possibilità": certo in tempi di (cinema della) crisi, dove il problema non è tanto la vastità delle opportunità ma l'assenza di scelta, suona un po' stonato entrare in comunione con i sentimenti, e soprattutto con le azioni, di questa studentessa Lara (Aylin Tezel) una donna che si lascia attraversare da ogni accadimento come se non ne fosse il motore, e che a 25 anni suonati si definisce senz'altro "ancora una bambina".

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Piacente, eternamente mantenuta da genitori facoltosi, senza evidenti vizi o virtù, nè felice nè triste, Lara scatta foto (la sua passione per la fotografia viene declamata, ma poi subito messa da parte) si divide tra svogliati studi di architettura e spensierate sere in discoteca, con l'amica inseparabile, la frizzante Nora (Henrike von Kuick) con la quale divide baci da amante – ma a quanto pare, è un gioco da collegiali, che si interrompe al primo comparire di un uomo. Una notte, Lara non riesce a digerire l'esitazione del suo professore Martin (Godehard Giese, nel ruolo di un bel tenebroso che sembra uscito da una puntata de L'Ispettore Derrick) che alla fine le preferisce Nora. La nostra eroina elabora lo smacco con un po' di ecstasy e una scopata frettolosa con il giovane barista della discoteca. Niente di male per carità: non fosse che senza precauzioni. Nel 2012! Qualche tempo dopo, la ritroviamo incinta e decisa a tenere il bambino (un dilemma che non è proprio amletico, visto che non ha problemi economici, i genitori le assicurano ogni aiuto, non sembra chiedersi come provvederà a se stessa e a lui, ma solo genericamente se "sarà una buona madre").
L'attesa trascorre tra innumerevoli acquisti di articoli da bebè (non vediamo nausee, ripensamenti, paure, debolezze, ma solo la classica scena delle pareti da dipingere di colori pastello per fare posto al nuovo nato) e una fortuita amicizia con un vicino di casa (Tómas Lemarquis) uno scultore islandese con problemi di riconoscimento artistico, un ex amore e un serpente da compagnia. Di punto in bianco, il feto smette di respirare nella pancia di Lara.

Di qui in poi, la regista sceglie di precipitare la ragazza in un dramma autoinflitto e quasi necrofilo, il suo ovvio dolore e una non meglio precisata rabbia verso tuttti coloro che non indovinano che il bimbo è morto. Perchè far abbattere tante sventure su questa giovane donna, visto che non provengono in alcun modo dalle sue condizioni sociali ed esistenziali, e che verrebbero comunque affrontate allo stato brado, col dolore che sarebbe comune a qualsiasi donna in attesa che perde il figlio?

Peccato, perchè la mano della Beck è  intuitiva, lo stile è forte e pulsante, palpita soprattutto nelle scene di ballo in discoteca, nei corpi amplificati dal sesso, dagli sguardi, dal ritmo della musica. Le scelte musicali sono non scontate (il folk vibrante dei Timber Timbre al posto di una canzone d'amore: un attimo prima sono il re, un minuto dopo non sono niente). E in qualche momento, su un treno che corre nella notte, sembra di ascoltare una canzone dei Sigur Rós, una specie di anticipata nostalgia del futuro, un tocco gentile: un buon augurio per il prossimo lungometraggio.

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