TORINO 30 – "Arthur Newman", di Dante Ariola (Concorso)
I protagonisti di Dante Ariola cambiano identità per tentare un secondo american dream snodato lungo motel e diner che se da un lato si offrono allo sguardo come non-luoghi alienanti, dall'altro restituiscono una gamma di bivi ed esistenze alternative dove poter interpretare qualunque ruolo. Charlotte e Arthur portano all'estremo la loro volontà di annullarsi in altri corpi, in altre vite, entrando nelle case di perfetti sconosciuti e vivendone per qualche ora i ricordi, le emozioni, riflettendo sulla narrazione come fortuita selezione di volti e aneddoti e sulla vita come atto creativo
Lui, Wallace Avery è un noioso (a detta di amante e figlio) impiegato, con potenzialità inespresse nel golf, ridotto a spiare la vita familiare che non ha più; lei, Mike, ha ingurgitato due bottiglie di sciroppo per la tosse a base di morfina (!) ed è andata a sbattere con un'auto rubata.
Le loro solitudini si incontrano e danno vita a un road movie in cui gli States diventano un campionario di road to nowhere, di strade perdute e rimpiante, raffigurate attraverso i luoghi e le tappe di una ormai consolidata poetica ed estetica dei loser, motel e diner che se da un lato si offrono allo sguardo come non-luoghi alienanti, dall'altro restituiscono la libertà della scelta, una gamma di bivi ed esistenze alternative dove poter interpretare qualunque ruolo.
E dalla menzogna alla performance il passo è breve: le scene migliori del film sono senz'altro quelle in cui Mike/Charlotte e Arthur/Wallace portano all'estremo la loro volontà di annullarsi in altri corpi, in altre vite, entrando nelle case di perfetti sconosciuti e vivendone per qualche ora i ricordi, le emozioni, recitando la luna di miele di una vecchia coppia innamorata, il sesso sotto effetto di marjuana di due outsider e quello "mercenario" di un miliardario e della sua amante russa, che diventa ulteriore mise en abime di un già consolidato gioco delle parti.
Più convenzionale quando resta sui personaggi, sulle loro storie private che seguono un progressivo – e opposto – disvelamento, dalla maschera alla persona, non sempre coincidente con l’identità sociale, Arthur Newman è interessante soprattutto per la riflessione sulla combinazione infinita della narrazione, che esplicita come il film stesso sia solo una fortuita selezione di volti e aneddoti e come ai margini del quadro ne rimangano altrettanti da raccontare, risultando in tal senso affine al Ruby Sparks della coppia Dayton-Faris (proposto a Torino nella sezione Festa Mobile) che esplora analogamente l’amore, o meglio l’esperienza solipsistica del sentimento, attraverso una serie di scelte narrative, attraverso un atto creativo.