TORINO 30 – "Call Girl", di Mikael Marcimain (Concorso)
Da una storia vera, un ritratto pieno di ombre della Svezia degli anni Settanta, quando il rigore e l'austerità servivano soprattutto a nescondere le aberrazioni sotto la superficie. L'esordiente Mikael Marcimain guarda apertamente al cinema politico americano degli anni Settanta e realizza un puro film di genere potente e coinvolgente: utilizzando gli stilemi del passato per cercare di capire l'origine del presente.
Telecamere, macchine fotografiche, registratori, intercettazioni: è questo il comparto tecnico che Marcimain utilizza per registrare le crepe sotterranee del suo paese, governato da politici che sfruttano i mass media per le proprie campagne a favore dei diritti civili e per l’uguaglianza delle donne, salvo poi abbandonarsi ai più meschini bunga bunga in compagnia di ragazzine quattordicenni. Come nella migliore tradizione dei vari Pollack e Pakula, la verità si scontra con le fredde logiche dei palazzi di potere, trasformando gli innocenti in vittime sacrificali senza più identità (come succede appunto alle protagoniste); si può recriminare a Call Girl una patina d’antan forse non sempre giustificata, ma la forza del film risiede soprattutto nel voler instaurare un rapporto con la materia messa in scena, guardando al passato per cercare in esso i germogli del presente: per non dimenticare gli orrori commessi tra quelle stesse mura domestiche dove si guardavano i video degli ABBA in televisione. Il tutto reso ancora più potente da una regia tesa e coinvolgente, anche quando troppo presa da zoom e carrellate che fanno molto seventies: ma è sufficiente una sequenza aerea (l'incidente d'auto del poliziotto) per capire che Marcimain ha la stoffa e il talento giusti. Un film di denuncia sociale mascherato da thriller spionistico, che non assume mai toni predicatori ma che, al contrario, predilige il gusto e il piacere del racconto puro (aiutato, va detto, da un cast straordinario, con Pernilla August in testa).