TORINO 30 – "Leones", di Jazmin Lòpez (TorinoFilmLab)

Sorprendente esordio di una giovanissima regista argentina, Leones è un'opera di resistenza contro la morte, il viaggio in una dimensione ultraterrena che costringe lo spettatore a venire a patti con una realtà estranea e inconoscibile. Un film di fantascienza sul sogno di una vita che non esiste più.

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Sorprendente esordio della ventottenne argentina Jazmin Lòpez, Leones è certamente un film in grado di suscitare nello spettatore sensazioni contrapposte; un’opera complessa e rarefatta, che merita pienamente tutta l’attenzione e la pazienza richiesta. Cinque ragazzi che camminano nel bosco, in seguito a un incidente stradale: la macchina da presa li segue ossessivamente grazie a lunghi e fluidi piani sequenza, catturandone ogni gesto, ogni movimento, ogni pausa. Ridono, scherzano tra loro, fanno semplici indovinelli e giochi di parole: quando appare evidente che la loro destinazione (sempre che ce ne sia una) tarda ad arrivare, il film comincia pian piano a svelare le proprie carte.

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La Lopez si dimostra bravissima ad esplorare uno spazio alieno e silenzioso intorno ai suoi protagonisti, grazie a uno stile miracolosamente bilanciato che non si trasforma mai in un semplice esercizio sterile: Leones è un film di fantascienza ambientato in una dimensione ultraterrena, dove lo sguardo esploratore della giovane autrice non smette mai di guardare e interrogarsi sulla realtà che lo circonda; per cercare di raggiungere una meta, un futuro, certo, ma innanzitutto per riflettere su un passato e una Storia che ha già deciso le sorti dei suoi personaggi. E il fatto che essi siano giovani, belli, nel pieno della vita, non fa altro che accrescere le proporzioni della Tragedia: vagano nel bosco come un branco di leoni senza guida, forti nel fisico e nello spirito senza che questo possa garantire loro una salvezza. Leones diventa così il ritratto struggente di una generazione, quella argentina, perduta e senza un avvenire: testardamente, lottano in quanto corpi vivi, in una dimensione astratta e senza tempo dove tutto sembra il sogno, la rimembranza di un’esistenza che non c’è più. La regista utilizza i suoi interminabili piani sequenza per non nascondere nulla all’occhio dello spettatore, costretto – esattamente come i protagonisti – a guardare e a investigare una realtà talmente vasta e ampia da impedirne la totale conoscenza; nei dettagli (la pistola, l’auto distrutta, la casa) si nascondono forse gli indizi utili per capire cosa sia successo: ma non è importante, ora. Un’opera di resistenza contro la morte, la testimonianza di un viaggio (l’ultimo?) attraverso quello che non si può capire ma che, nonostante tutto, non si può fare a meno di mostrare, raccontare, filmare. Senza interrompere mai lo sguardo, senza avere mai timore di esitare su un personaggio, un corpo, uno sguardo, lasciando sempre allo spettatore la possibilità di interrogare sé stesso sul significato delle proprie immagini.

Ovviamente, non si può negare una certa dismisura nelle ambizioni della giovane regista, la quale, forse ancora impreparata ad affrontare i massimi sistemi in maniera compiuta ed elevata, non evita di scivolare in simbolismi esagerati e lievemente di maniera (come la partita a pallavolo senza palla, evidente omaggio a Blow Up di Antonioni); ma dinanzi alle sorprendenti capacità dialettiche dimostrate, è un dovere (e un piacere) difendere Leones a spada tratta, in nome di un Cinema ancora intenzionato a porre domande anziché adagiarsi sulle (facili) risposte.

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