TORINO 30 – "Nadea e Sveta", di Maura Delpero (TFFdoc)

Nadea e Sveta di Maura Delpero

Un viaggio emotivamente deflagrante tra i volti che sfiorano i nostri percorsi quotidiani e su cui lo sguardo non ha spesso il tempo, e il coraggio, di soffermarsi. Il piccolo documentario di Maura Delpero rivela una grande modernità nell'approccio intimo, che cerca simboli, connota personaggi e drammatizza situazioni, con una regia in grado di costruire un racconto visivamente affascinante cogliendo la bellezza di certi attimi sfruttando unicamente la potenza del proprio materiale, senza l’ausilio della forza iconica del found footage.

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Un viaggio emotivamente deflagrante tra i volti che sfiorano i nostri percorsi quotidiani e su cui lo sguardo non ha spesso il tempo, e il coraggio, di soffermarsi.

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Il piccolo documentario di Maura Delpero, che torna a Torino dopo aver vinto nel 2008 il premio Avanti! e il premio Ucca con Signori Professori, racconta due storie intrecciate, due tranche de vie in cui è facile imbattersi nelle nostre città e che pure sembra rivelare per la prima volta.

 

Sveta è una giovane donna che fa le pulizie a Bologna e dopo aver ricevuto l’agognato permesso di soggiorno, atteso due anni e mezzo, sta per riabbracciare Eloiza Clementina, la figlia di sei anni lasciata in Moldavia con la nonna, vista crescere attraverso filmati inviati per vhs. Nadea, più matura, fa la badante per un’anziana signora e il suo viso si illumina solo al telefono quando può ascoltare le voci di figli e nipoti. Due esistenze fatte di assenze, che la regista incastona negli spazi vuoti di ambienti che è difficile chiamare ‘casa’, restituendo lo spaesamento di chi si ritrova a essere apolide suo malgrado.

 

Nadea e Sveta Maura DelperoUna storia fieramente al femminile che racconta almeno quattro generazioni di donne, dalla nonna moldava che si ritrova a ricoprire ancora una volta un ruolo materno a quella italiana che vive dei ricordi del passato; dalle due protagoniste con un presente che ruba gli affetti e si consuma altrove, alla piccola Clementina, strappata al suo mondo – l’asilo, la danza – per iniziare una nuova vita in un altro paese, in un’altra lingua.

 

Entrambe amate dallo sguardo della regista, che pare quasi accarezzarle mentre le accompagna nell’inverso viaggio intrapreso – una farà finalmente ritorno a casa per restare vicina ai suoi cari, l’altra ricomincerà qui con la sua famiglia di sole donne – Nadea e Sveta possiedono entrambe quel calore irrintracciabile nella giovane protagonista di Made in Ash, che pur narrando una vicenda analoga era schiacciata da una messa in scena asettica.

 

Il documentario di Maura Delpero rivela invece una grande modernità nel suo approccio intimo, che cerca simboli, connota personaggi e drammatizza situazioni – meravigliosa la sequenza della cena in cui Sveta rieduca Clementina viziata dalla nonna – colorando il suo racconto di numerose sfumature emotive, molto più di quanto non riuscisse al racconto fiction della regista slovacca.

 

E se il nome più prossimo per la delicatezza dell’indagine su un mondo femminile tanto nascosto quanto ricco, è inevitabilmente quello di Alina Marazzi, anche per l’inconfondibile taglio sulle immagini della comune montatrice Ilaria Fraioli, la regia di Maura Delpero appare ancora più sottile perché riesce a costruire un racconto visivamente affascinante cogliendo la bellezza di certi attimi – la bambina sull’altalena, l’espressione malinconica di Nadea al passaggio di un aereo sopra la sua testa – sfruttando unicamente la potenza del proprio materiale, senza l’ausilio della forza iconica del found footage.

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