TORINO 30 – "Natura morta in giallo", di Carlo Michele Schirinzi (Onde)

Natura morta in giallo è la ricerca della vita. Tracce rimaste di un antico mestiere: intessere e modellare il giunco (u pileddhu in dialetto del sud Salento), pianta selvatica che cresce in zone palustri. Il cinema di Carlo Michele Schirinzi continua a muoversi in quell'impercettibile e paradossale frame posto tra l’informe e il reale, l’astrazione e la materia, l’immagine e il corpo…provocando fertili echi nella sfocatura prodotta dalla sovrapposizione di tempi e movimenti sempre diversi nella loro secolare ciclicità


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Natura morta in giallo è la ricerca della vita. Il cinema di Carlo Michele Schirinzi continua a muoversi in quell’impercettibile e paradossale frame posto tra l’informe e il reale, l’astrazione e la materia, l’immagine e il corpo, provocando fertili echi nei luoghi/tempi colpiti dalla sua (video)camera digitale. Quest’ultimo lavoro si concentra sulle tracce rimaste di un antico mestiere: intessere il giunco (u pileddhu in dialetto del sud Salento) una pianta selvatica che cresce in zone palustri, particolarmente flessibile e modellabile in prodotti di uso comune come cestini, rivestimenti di sedie, oggettistica artigianale, ecc. Dalla raccolta, alla prima lavorazione, all’intreccio del giunco, il film segue con pazienza un intimo e sociale viaggio nella cultura di un pezzo d’Italia.

Natura morta in giallo, però, persegue un doppio binario intrecciato come il giunco: da un lato la neopasoliniana e sacrosanta necessità di preservare in immagine una serie di tradizioni fatalmente in via di estinzione nella nostra società post-capitalistica; dall’altro la liberissima ricerca estetico/formale di un cinema che vuole far parlare gli elementi attraverso il movimento dei corpi in scena. Le mani operose e ritmiche degli e delle artigiane di Acquarica del Capo, inquadrate in dettaglio, danno contorni certi alla materia grezza producendo da un lato un movimento centripeto verso la forma (l’oggetto) e dall’altro un'esplosione musicale e centrifuga verso un oltre lo schermo (lo spettatore). Il lavoro sul giunco diventa musica – di nuovo straordinario il supporto di Stefano Urkuma De Santis per la ricerca sonora – e le inquadrature continuano a sovrapporre al nobile intento documentaristico altre complesse e stratificate texture, che vanno ad azzerare il tempo di un (non) racconto per rintracciare l’anima di un luogo. Anima immaginabile proprio nella sfocatura prodotta dalla sovrapposizione di tempi e movimenti sempre diversi nella loro secolare ciclicità.

E poi c’è il risultato. Gli oggetti. Nel silenzio e nel buio di un magazzino. L’artigiano che prova la resistenza delle sue creature, le forza producendo quello scricchiolio che è il vero suono del Salento, un suono che ha sapore di infanzia e di terra impastata a corpi ed emozioni. Il cinema di Carlo Michele Schirinzi ri-prende la progressiva morte di una natura, per configurare solo la vita…


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