TORINO 30 – "Shell", di Scott Graham (Concorso)
Basato sull'omonimo cortometraggio del 2008, Shell di Scott Graham rivela la coerenza della poetica del giovane autore scozzese, tutta incentrata sul rapporto intimo tra uomo e paesaggio, quello selvaggio e ostico delle highlands, dagli inverni perenni, in cui il gelo penetra nelle ossa e nell'anima dei suoi abitanti. Un cinema impercettibile, attaccato a frammenti del quotidiano in cui lo sguardo della macchina da presa si imprime sui paesaggi, gli oggetti, senza mai la tentazione di una prospettiva estetizzante
È in questo ambiente che vive la diciasettenne Shell – "come la benzina?" le chiede uno dei rari avventori "come quella cosa unica e preziosa che si trova in fondo al mare", risponde lei – cresciuta col padre Pete, in una casa-officina-stazione di benzina in mezzo al nulla.
Graham osserva il lento ripetersi dei giorni, tra faccende domestiche, piccole avventure – il soccorso a una coppia che ha investito inavvertitamente un cervo, la corsa dietro un’auto per restituire a una bambina la bambola dimenticata – e i pochi contatti umani con gli uomini della sua vita: un padre accudito come un compagno, da abbracciare nelle notti gelide e di cui curare le crisi epilettiche; un cliente solo e disperato che offre jeans in cambio di un gesto d’affetto e Adam, il ragazzo che potrebbe darle amore ma che la bloccherebbe lì.
È un cinema impercettibile quello di Shell, attaccato a frammenti del quotidiano che costruiscono una trama fitta ma invisibile, in cui lo sguardo della macchina da presa si imprime sui paesaggi, gli oggetti, i corpi senza mai predeterminarli, in direzione opposta a un’operazione come quella del belga La cinquième saison, in concorso all’ultimo festival di Venezia, in cui l’analogo confronto umanità-paesaggio veniva letto attraverso una prospettiva estetizzante, densa di riferimenti pittorici e filosofici.
Graham rinuncia invece qui alla tentazione dell’apologo apocalittico e pur dando corpo a un racconto che si nutre della bellezza delle immagini lo fa appoggiandosi a un paesaggio familiare, di cui conosce bene le insidie ma che non può tuttavia impedirsi di amare. Allo stesso modo della sua protagonista, lieve come la Felicia di Atom Egoyan e bloccata tra un futuro incerto e una vita già scritta come la Evelyn joyciana, riempie di uno sguardo intimamente doloroso ogni inquadratura, un sentimento profondo e conflittuale come quello che lega Shell e Pete.