TORINO 30 – “Smashed”, di James Ponsoldt (Rapporto Confidenziale)

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Katie e Charlie sono una coppia di alcolisti, apparentemente felice e senza problemi. Quando Katie comincia a frequentare un gruppo di alcolisti anonimi, la sua scelta porterà serie conseguenze sulla sua vita e su quella di chi le sta attorno. Ennesima prova di forza del cinema indipendente statunitense, ma con qualche differenza di fondo, stavolta. Non c'è maledizione o disperazione a tutti i costi, non ci si perde definitivamente in malinconiche derive, ma si cerca il cammino, muovendo senza frenesia lo mdp sui corpi dibattuti

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smashedKatie e Charlie sono una coppia di alcolisti, apparentemente felice e senza problemi. Lui fa il critico musicale e la casa matrimoniale l'ha acquistata grazie ai suoi genitori benestanti; lei, pur avendo avuto un'infanzia difficile, si è realizzata professionalmente, insegnando alle elementari. Quando Katie, dopo l'ennesima sbronza, vomita in classe, sotto gli occhi dei suoi bambini, decide finalmente di disintossicarsi, fregandosene dell'atteggiamento infantile del marito, lontano dal voler prendere coscienza della situazione sempre più complicata e ingestibile. Katie comincia a frequentare un gruppo di alcolisti anonimi e la sua scelta porterà serie conseguenze sulla sua vita e su quella di chi le sta attorno.

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In film dello statunitense James Pansoldt (al secondo lungometraggio, dopo Off the Black – Gioco forzato, del 2006) ha l'andamento di una commedia che racconta la dipendenza come ossessione sociopatica, senza eccedere in falsi moralismi e la solita retorica. Anche se proprio questa “ossessione” dal volersi a tutti i costi divincolare dalla solita manfrina sull'argomento, a lungo andare comporta un certo appiattimento della storia, senza dubbio però ben scritta e soprattutto ben interpretata (Mary Elizabeth Winstead e Aaron Paul).
 
La forza del film sta soprattutto nella capacità di muoversi in una zona mediana, in equilibrio tra gli estremi della disperazione senza uscita e il dramma ipersensibile. Ma c'è soprattutto una volontà a non volersi per forza allineare allo stile ormai standardizzato di certo cinema statunitense indipendente, che “invade” piacevolmente i festival nazionali e internazionali. Potremmo parlare ormai di scuola non parificata, ma riconoscibile, che attraverso alcune particolari peculiarità di struttura si rende assolutamente identificabile.
 
smashedNon ci sono "ossessivamente" tutti gli stilemi del cinema indipendente statunitense: l’immagine sporcata dalle vicissitudini quotidiane, macchina a mano tra cromatismi sgranati, accenni di improvvisazione attoriali con le azioni che si lasciano andare, nel flusso della perfetta simbiosi tra la scena e lo sguardo degli spettatori. Non si evidenzia nemmeno la sensazione che il regista voglia intraprendere la strada del “maledetto”, a tutti i costi, laccando eccessivamente l’involucro, e quindi riuscendo a non perdere definitivamente una certa coerenza di spirito. Non si perde in malinconiche e disperate derive (a parte quelle reiterate in bici, in mezzo al traffico, con tanto alcol in corpo), cerca il suo cammino, muovendo senza frenesia la mdp sui corpi dibattuti. Apprezzabile sincretismo sensoriale come un fendente a tagliare il corpo della storia in due: da una parte la sofferta incoscienza di lui, dall’altra la lenta consapevolezza che l'amore sia finito di lei
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