TORINO 30 – "Smettere di fumare fumando", di Gian Alfonso Pacinotti (Concorso)

TORINO 30 - Smettere di fumare fumando, di Gian Alfonso Pacinotti (Concorso)

Un'ambiguità: per tutta la durata del film Gipi ripete di non avere alcun intento artistico e di limitarsi a riprendere dieci giorni della sua vita, mentre rinuncia alle sigarette, portandoci nel suo quotidiano, tra i suoi affetti, nei suoi spazi. Eppure Smettere di fumare fumando, intriso com'è di provocazioni e di attacchi preventivi a chi sta per vederlo, suona tremendamente insincero e distaccato

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TORINO 30 - Smettere di fumare fumando, di Gian Alfonso Pacinotti (Concorso)Gian Alfonso Pacinotti si esprime con talento e sensibilità nel fumetto. Dispiace che nel cinema non riesca a trasferire lo sguardo acuto che gli consente di raccontare le sue storie: anzi, soffre di miopia. Già l'apertura del film è una contraddizione in termini: la sua voce, che vorrebbe mostrare il suo privato flusso di pensieri, ci informa che per girare qualcosa di bello non deve pensare a critici e giurie (il pubblico non è nominato) e si sovrappone alle immagini con invadenza, inutilmente lirica, come se le immagini stesse non avessero alcun peso. Eppure queste riprese sghembe, da ogni angolazione, con la macchina sempre attaccata al corpo, i rumori e i gesti quotidiani, vorrebbero essere i filmini amatoriali che tutti facciamo, però sono tronfi di pretesa sperimentale. Gipi-l'uomo che cerca di smettere di fumare spaccia il film per un modo di distrarsi durante l'astinenza, ma Gipi-regista lo nega ad ogni passo: col film, intende parlare di argomenti importanti, la solitudine, la follia dei nostri tempi, l'infanzia che si sgretola sotto il peso degli anni e un milione di altre cose. Ma non bastano le riprese lo-fi per sperimentare, se la sperimentazione non è solo un affare di linguaggi. Purtroppo, dopo una decina di minuti ci sentiamo già distaccati non solo dalla sua crisi di astinenza, dove anche il delirio appare forzoso (e dire che chi scrive fuma 2 pacchi di sigarette al giorno) ma anche – cosa più grave – dalla sua vita quotidiana, dai luoghi in cui è cresciuto, dai suoi affetti. L'unico istante di empatia viene dall'esterno: i video insieme angoscianti e surreali che un amico gli segnala da Youtube: persone che sostengono di essere in contatto con gli alieni, compreso una specie di santone.

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"Ho sempre pensato che il narcisismo implicasse una rappresentazione positiva: io in questo film mi faccio a pezzi, non mi lavavo neanche i denti prima di inquadrarmi..." ha detto alla stampa. Eppure esiste anche un narcisismo di altro tipo, che offre un imbarazzante maledettismo da liceo: "puppatemi la fava!" performance canore che vorrebbero essere sgradevoli Gipi in Smettere di fumare fumandoma sono solo irritanti, tirate mutuate da Trainspotting o Fight Club "basta, fatele voi le cose sane, io ne ho abbastanza! Andate al diavolo!" e via di questo passo.

Forse, per essere interessante, lo stesso canovaccio così autoriferito andrebbe costruito attorno a un personaggio spettacolare, ben più osceno, ben più smodato, come il protagonista di Il lamento di Portnoy di Philip Roth… Il tentativo di prendersi gioco dei critici pedanti che hanno scritto di L'ultimo terrestre risulta ancora più pedante del più pedante dei critici: un idiota chiuso in bagno, che verrà (giustamente) violentato e ucciso fuori scena da Gipi. Però uscendo dalla sala, viene da chiedersi come sia possibile generare una tale sensazione di disonestà e di distacco pur cercando di mostrare le proprie debolezze, pur portandoci addirittura nel proprio letto. Specialmente se avviene di ripensare a qualcosa di ancora più autobiografico, ma straziante e sincero, come un Tarnation

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