TORINO 30 – “Su Re”, di Giovanni Columbu (Concorso)
Su Re, di Giovanni Columbu, vive di una messa in scena ruvida e increspata, tutta visibile nelle folte e ispide barbe che scolpiscono i volti degli attori, nei tratti irregolari di un Cristo dolorosamente stordito dalla sua personale passione. Si va alla ricerca del mistero, dell’assoluto di una storia che non può che svolgersi in Sardegna, ma il film sembra disperdersi senza avere la necessaria conduzione per trasmettere il dramma. Si resta un po’ freddi davanti a pur tanto materiale che dovrebbe infiammare l’anima e gli occhi
Si allunga quindi la lista di nomi che da Ray a Zeffirelli, da Pasolini a Jewison, da Gibson a Ciprì e Maresco si sono cimentati nella messa in scena della Passione di Cristo, e Columbu ne fa anche una questione territoriale, d lingua e di simboli. Ma il cinema non è solo messa in scena, non è solo parola e immagine, non è solo storia e il Su Re di Columbu sfiorando l’agiografia sarda, si adagia su questi elementi ricercando solo in questi una forza espressiva da comunicare. Sembra che nel tragitto che l’immagine compie dallo schermo allo spettatore, si consumi, senza arrivare la forza emotiva che la storia, i volti e le parole dovrebbero trasmettere, quasi che il sovrappiù che il film contiene, pur nella sua secca ed essenziale messa in scena, si disperda improvvisamente senza avere la necessaria conduzione per trasmettere il dramma. Si resta un po’ freddi davanti a pur tanto materiale che dovrebbe infiammare l’anima e gli occhi, comprendendo che le parole hanno un senso e che se la tradizione vuole che questa storia sia tramandata con il nome di Passione, una ragione ci deve pur essere, e dentro questa parola c’è l’irrazionalità e il dolore, il mistero spontaneo di una morte divina e nessuna operazione solo intellettuale e freddamente cerebrale ne potrà mai sondare il segreto e raccontare l’emozione.