TORINO 30 – "Tenir les murs", di Mehdi Meddaci (ONDE)
Dalla sezione ONDE, arriva un colpo di fulmine, insinuante e tormentoso, che resta a lungo dopo la visione. Fin dal titolo, grandi lettere-finestre dentro le quali si muove la marea, questo film ipnotico e incantatore parla più lingue in una sola, in un flusso emotivo di slow motion che turbano, grafica, pittura, fotoreportage di stampo politico-sociale e un respiro lirico che mozza il fiato. Come se La Ville Des Pirates di Raúl Ruiz fosse stato reinterpretato da Claire Denis…

Li vediamo prima uno per uno tenir les murs, poi convergere insieme, in una sbalorditiva sequenza che fa di un semplice balcone una stanza della coscienza, un luogo sospeso sulla notte, illuminato da un acquario di pesci rossi, colpito da fuochi d'artificio che incalzano fino a coprire i loro discorsi.Per liberarsi basterebbe saltare giù da quel balcone, pensa uno di loro, il pittore (ma per loro sarò sempre un imbianchino). "Non saltare" lo ammonisce un altro" questo non è un film". Sono antieroi ammaccati, dai volti duri, attraenti, contratti, anche questi, forse, fanno pensare alle bellezze sempre in guardia che piacciono a Claire Denis. Vivono "reggendo i muri" di enormi periferie-alveare parigine, tra mostri architettonici e dialoghi nonsense proprio come nei momenti più belli di La Haine: ma se là veniva annunciato fin da subito che qualcosa sarebbe accaduto (si sa: il problema non è la caduta, ma l'atterraggio) qui la caduta libera è già bella che avvenuta, e ne vediamo solo il dettaglio (gli sbalorditivi momenti in cui due ragazzini si gettano a terra al rallentatore, gli slow motion sulla folla che invade un ponte di periferia, si immobilizza e lentamente gira su se stessa e cade sull'asfalto; la sequenza onirica dell'uomo che si punta una pistola alla tempia). Oppure: Hou Hsiao-Hsien che decide di rigirare La Haine di Kassovitz…
Nei dialoghi stranamente forbiti di questi fantasmi non visti che da loro stessi, si ripetono frasi ricorrenti, quasi come indizi di una caccia al tesoro; affiora sempre il pensiero irrazionale di dormire sull'acqua, e intanto il film viaggia verso il lungomare, con l'acqua che magicamente si immobilizza mentre i dialoghi proseguono, supera scalette lerce, banchine, altre attese, e si imbarca in mare. Non è che i loro lineamenti ci dicano a quale paese appartengono. Più che dall'Algeria, sembrano venire da un luogo solo immaginato. Il film è il percorso che li conduce dagli spazi urbani, filmati nella loro assoluta neutralità, al mare aperto, più che per determinazione, per un istinto migratorio di uccelli, verso una terra che scompare all'orizzonte, anzichè palesarsi e riapparire. Un film che è una scatola di carte, e su ciascuna carta un indovinello, che costringe a respirare più lentamente, ma più a fondo.
Un estratto da TENIR LES MURS