TORINO 30 – "Wadjda", di Haifaa Al Mansour (Torino FilmLab)

Sbandierata fin dalla prima conferenza di presentazione come la prima pellicola araba diretta da una regista saudita, corre il serio rischio di rimanere schiacciato da questa ingombrante etichetta. Wadjda, infatti, scegliendo di narrare l'Arabia Saudita attraverso le avventure di una ragazzina ribelle, si rivela non un mero santino, ma un sincero e spesso feroce ritratto di una società femminile che, spesso, si impone da sè la propria segregazione

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Sbandierata come la prima pellicola araba diretta da una regista saudita, Wadjda corre il serio rischio di rimanere schiacciato da questa ingombrante etichetta. Sia chiaro, nessuno vuole minimizzare la portata storico-politica di questo evento ma dando eccessivo peso solo a questa pur importante caratteristica, si mettono in secondo piano i tantissimi pregi presenti in questa emozionante pellicola. Wadjda infatti racconta la vita di una ribelle ragazzina di Ryad alle prese con il sogno impossibile di acquistare una bicicletta (per riuscire cosi a battere in una gara di corsa il suo migliore amico) e con un padre in procinto di lasciare la famiglia per cercare un erede maschio con una nuova moglie. Questa scelta di narrare l'Arabia Saudita attraverso le avventure di questa piccola donna, si rivela sin da subito efficace sotto tutti i punti di vista.

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Prima di tutto è incredibile il coraggio con cui viene mostrata la società araba (spesso considerata per meri motivi politici addirittura la più “aperta” di tutto il mondo musulmano). Mentre i maschi sono presenti nella pellicola solo in ruoli secondari e marginali, dove non fanno a meno di ostentare tutta la loro pochezza e squallore (chiaro esempio ne è il personaggio del  padre) le figure femminili, quasi tutti personaggi molto forti e ottimamente scritti dimostrano quanto quest'opera sia decisiva per capire la vera donna araba. Wadjda infatti non serve per santificare le vittime di una società bigotta e maschilista ma un sincero e spesso feroce ritratto di società femminile che si impone da sè la propria segregazione, rinnegando contro la loro stessa natura (come la feroce preside bigotta con il suo amante-ladro) anche il più piccolo spiraglio di illusione in un mondo di libertà. Solo all'ultimo,con un finale dal grande impatto emotivo, il bisogno di speranza delle protagonisti (e forse anche della stessa regista) esplode con tutta la sua potenza.

 

Al di là della profonda analisi socio-politica, la regista ha inoltre il merito di non incatenare i propri messaggi in un noioso compitino moralistico, buono solo a sensibilizzare il pubblico occidentale più facile, piuttosto sceglie la via dell’ironia e del sorriso, affidandosi agli occhi della giovanissima Wadjda interpretata da una magnifica Waad Mohammed, che ci regala uno dei personaggi più belli visti finora al Lido.

 

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