TORINO 30 – “Whisky galore!”, di Alexander Mackendrick (Festa mobile/Ken Loach)
Da commedie come Whisky galore! di Alexander Mackendrick nascono quelle successive da Svegliati Ned a The Angel’s share. Un film segnato dal ritmo e dalla caratterizzazione dei personaggi, un cinema che riesce a tradurre in immagini l’ottimismo del periodo, la voglia di farcela, il desiderio di ricostruire, il senso forte di una comunità, diversamente da quanto accade oggi per un cinema ripiegato su se stesso incapace di raccontare e immaginare la speranza.
Whisky galore! di Alexander Mackendrick è una commedia divertente ed esilarante, girata nel 1949, offerta sugli schermi del festival in queste controverse giornate del mancato premio a Ken Loach, al quale la proiezione è dedicata (o sarebbe dedicata) quale antenato ideale del suo invisibile (qui a Torino)The Angel’s share. Durante la guerra una piccola comunità delle isole Ebridi si ritrova improvvisamente a corto di whisky e il fatto getta nella disperazione la popolazione maschile del paese. Accade che una nave, carica di casse contenenti la “preziosa acqua della vita”, si incagli nello specchio d’acqua di fronte all’isola. I suoi abitanti in una lotta contro il tempo si appropriano di quelle casse che contengono l’agognato liquore sfuggendo ai controlli delle istituzioni. Il film, che vive di ritmo e di una sceneggiatura brillante, si attesta per costituire una specie di madre di tutte le storie in cui le comunità, quelle anglofone in particolare, solidarizzano e si ritrovano su un comune terreno per lottare contro il potere costituito per una sacrosanta seppure trasgressiva e perfino illegale battaglia in difesa dei propri principi, delle proprie tradizioni o del proprio passato. Da commedie come queste nascono quelle successive da Svegliati Ned ad The Angel’s share. Il ritmo, segnato dagli inseguimenti in auto o dal frenetico montaggio (divertente e indimenticabile la sequenza della scelta dei nascondigli per le bottiglie di whisky) e dalla caratterizzazione dei personaggi sono i punti di forza di questo film che fila via liscio e piacevole, pur con le sue ingenuità e le sue deliziose e prevedibili incongruenze. Una vivacità che appartiene di diritto alla migliore tradizione anglosassone che qui (ed in tutte le occasioni in cui sia coinvolta una comunità) si colora, orgogliosamente, della tradizione locale in cui si fa di necessità virtù trasformando l’occasione in metafora di speranza per il futuro e di scommessa per il presente. Non a caso produce la Ealing, cioè la casa di produzione che più di ogni altra ha valorizzato la tradizione inglese, quella più schiettamente satirica se si vuole, attraverso commedie come questa che attingono direttamente anche dal ricco passato letterario inglese. Un cinema, ci accorgiamo, che traduce in immagini l’ottimismo del periodo, la voglia di farcela, il desiderio di ricostruire, il senso forte di una comunità che si scopre invincibile. Una dinamica esistenziale opposta a quella odierna che ci fa sentire in debito di fiducia perfino nel cinema che appare oggi, più di sessant’anni dopo, ripiegato su se stesso sempre incapace – a qualsiasi latitudine – di raccontare e immaginare la speranza, quella stessa speranza che i nostri allegri beoni, ubriaconi felici, sapevano trasmetterci dalle immagini in bianco e nero di questo film così inguaribilmente felice di se stesso!