TORINO 31 – All Is Lost, di J. C. Chandor (Festa Mobile)

robert redford in All Is Lost

Immenso Robert Redford. Lui da solo sfida il mare. Reincarnazione di Hemingway, ma anche cavaliere solitario tra Sydney Pollack e il suo ultimo film, La regola del silenzio, dove e' corpo e insieme sguardo assediato. Lui da solo vale già tutto il film nel suo elettrizzante monologo con la morte. Ma anche il cineasta sa tenere la giusta durata con una colonna sonora formata quasi esclusivamente dai rumori del mare, del vento, della pioggia, della tempesta in arrivo

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robert redford in All Is LostUna specie di ‘titanic’ e non solo per il naufragio. Il film è stato girato infatti nella riserva di Rosarito, in Messico, dove James Cameron ha girato il suo celebre film. Qui invece Robert Redford è proiettaro in una lotta per la sopravvivenza tutta individuale. Lui da solo sullo schermo. Estendendo il frammento del protagonista di La vita di Pi assieme alla tigre solo in mezzo al mare o di Tom Hanks nell’isola deserta in Cast Away.

Il grande attore giganteggia da solo, alterna rassegnazione e speranza, ci mette dentro qualcosa dei suoi ‘cavalieri solitari’ che ha interpretato per Sydney Pollack (da Corvo rosso non avrai il mio scalpo a I tre giorni del Condor) mescolato col suo Jim Grant di La regola del silenzio. Lì, nella parte finale, era assediato nel bosco. Qui in mezzo al mare. Nell’Oceano Indiano dove al suo risveglio scopre che il suo yacht ha avuto una collisione con un container abbandonato. Sembra inizialmente perduto, poi riesce a riparare l’imbarcazione. Ma c’è una tempesta in arrivo che lo mette di nuovo in pericolo.

Comincia  con la voce fuori-campo, poi la colonna sonora è formata quasi esclusivamente dai rumori del mare, del vento, della pioggia, della tempesta in arrivo. Redford si affida alla fisicità e a una recitazione tutta col corpo, risveglia i fantasma letterari di Hemingway, innesca un continuo rapporto con gli oggetti. Una prova che da sola vale già tutto il film e mostra una specie di elettrizzante monologo con la morte, quasi senza nessuna parola. Solo un suo disperato ‘Fuck!’ rimbomba come tragico eco, oppure la sua voce debole che non riesce all’inizio a pronunciare le parole quando sente che la sua radio sta funcionando.

Ma anche J. C. Chandor, dopo la teatralità letteraria del precedente Margin Call, gioca efficacemente di sottrazione, elimina il superfluo, facendo diventare All Is Lost magníficamente estenuante. E il pericolo è nascosto in ogni angolo della barca. Anche quando non succede niente come nel tesissimo momento in cui il protagonista si arrampica sull’albero dello yacht e guarda da sopra la distanza che manca per tornare a terra.

Ci sono più prospettive e due di queste possono anche combaciare: lo sguardo verso l’orizzonte che può essere anche sguardo nel vuoto. E qui sta anche l’abilità di un film che sa tenere la durata giusta, che non eccede mettendoci quell’inquadratura in più ma che sa anche coinvolgere senza essere ruffiano.

 

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