TORINO 31 – Historia de la meva mort, di Albert Serra (Onde)

Historia de la meva mort

Historia de la meva mort, dello spagnolo Albert Serra punta sulla fascinazione della narrazione, il suo è un cinema che trova vita essenzialmente nel fluire del racconto. Si ripete una sperimentazione narrativa già saggiata in precedenza. Un approccio narrativo che possiede forti elementi di fascino e che rivendica una propria originalità, ma anche un’operazione intellettuale non priva di una certa freddezza complessiva

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Il cinema di Albert Serra vive dentro i profluvi narrativi e le fluviali durate delle sue storie. Il suo rapporto con il festival di Torino risale ad alcuni anni fa con l’originale Honor de caballeria una sorta di backstage del Don Chisciotte che, a sorpresa, vinse il premio per il migliore film del concorso principale. Momenti e conversazioni tra i due protagonisti del romanzo che non avevano trovato posto nella scrittura del libro e che Serra sembra ritrovare dentro le stesse pagine del romanzo. Quest’anno, dopo i successi di Locarno, dove si è aggiudicato il Pardo d’oro, troviamo, nella sezione Onde, Historia de la meva mort. Sono gli ultimi giorni di Casanova che dopo il soggiorno in Svizzera si trova a vagare nei territori dei Carpazi dove si imbatte nella figura notturna e inquietante di Dracula che destabilizza i rapporti personali. Come lo stesso Serra ha dichiarato, si tratta non soltanto della fine di Casanova, del suo congedo con la vita, ma anche di un tempo che finisce, di un’epoca in cui sta mutando il modo di pensare. Ma i personaggi sono solo un pretesto tanto è fittizio ogni elemento che possa fare pensare ad una ricostruzione storica a partire dall’impossibile incontro tra quei due personaggi.

 

Un film profondamente crepuscolare, nel senso visivo e concettuale, nel quale la parola si fa dialogo fitto e articolato, privo di qualsiasi riferimento al mondo reale – lo stesso autore lo sottolinea – che si alimenta del mito dei suoi (qui) immaginari personaggi per fare sopravvivere un cinema quasi d’altri tempi. È su questa riflessione che va centrata l’attenzione. Il film, per gran parte girato in pellicola, sembra avere una ambivalenza raccontando due epoche che finiscono. In primo luogo partecipa materialmente alla fine dei tempi della pellicola che presto diverrà un reperto del passato e relativamente al suo contenuto all’epoca dell’illuminismo che si sta per concludere.

La robusta struttura formale sul quale il film si regge ricorda le riflessioni e le visioni di De Oliveira oppure la purezzaHistoria de la meva mort espressiva dei film di Straub e Huillet. Ma a differenza di questi autori Albert Serra, pur affidandosi ad una rigorosa composizione, punta sulla fascinazione della narrazione, il suo è un cinema che trova vita essenzialmente nel fluire del racconto. Sicuramente operando su quella parte non ufficiale, ma è questo il terreno sul quale il film ha fondamento. La sperimentazione narrativa di Serra ripete e riproduce, fatti i necessari distinguo, quella già saggiata con Honor de caballeria. I suoi personaggi sono colti dal suo cinema che per questo si fa minimale e solitario, nella loro gestualità quotidiana, nella familiarità delle mura casalinghe, nell’intimità propria delle deiezioni mattutine oppure nelle conversazioni fatte sottovoce. Quasi a dirci che non esiste differenza tra eroi e gente comune, tra mito e non mito e che la consistenza umana ci parifica. Era questa la novità assoluta del Don Chisciotte del suo primo film e continua ad essere questo il terreno sul quale Serra conduce il gioco con i suoi personaggi.

È un approccio narrativo che possiede forti elementi di fascino, ma che potrebbe, alla lunga, diventare una specie di format definito dentro il quale costruire queste storie di personaggi che ne incrociano altri o che si trovano a vivere, dopo la vita sulla pagina letteraria, dentro le vicende immaginarie della storia.

Al momento si tratta soltanto di un rischio poiché questo cinema rivendica un ruolo di originalità assoluta nel panorama internazionale.

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Serra sembra volere procedere quasi ad occhi chiusi, misurandosi con un percorso simile al processo onirico ed è questo un altro degli aspetti pregevoli del film. La costruzione di un racconto del tutto fantastico, (l’incontro tra Dracula e Casanova, né è prova) ma notturno e silenzioso, sussurrato in cui si discetta di famiglia e chiesa, dentro uno scenario assolutamente  reale che si ammanta, grazie alla luce che lo attraversa e la partitura dei suoni di precisi elementi di irrealtà che appartengono ai fondali della visione onirica, assumendo, questi segni, un altro aspetto e un altro valore e significato. Historia de la meva mort assume quindi la consistenza di una crepuscolarità complessiva (temporale e concettuale) e attraverso la gradualità delle sue letture rivela la sua progressiva stratificazione di significati, di ricerca visiva, testimoniata ad esempio da una illuminazione sempre naturale (di notte al lume di candela) e di differenti livelli di elaborazione comprovati dalle conversazioni tra i personaggi.

Non vi è dubbio che come i suoi film precedenti, anche questo nasca da una operazione esclusivamente intellettuale che radicalizza le scelte artistiche conferendo al risultato finale un diffuso e serpeggiante senso di freddezza che si pone come un diaframma che mette una distanza tra il film e la sua platea.

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