TORINO 31 – La mossa del pinguino, di Claudio Amendola (Festa mobile Euro pop)

La mossa del pinguino

L' esordio alla regia di Claudio Amendola, assolve, con l’onestà degli intenti e di realizzazione, il compito di alimentare i sogni in un periodo di crisi. Un film diretto erede della commedia all’italiana che rielabora alcuni dei temi ricorrenti riuscendo anche, incidentalmente, a raccontare il disagio di questi anni e il desiderio di ricostruire anche fosse solo attraverso l’illusione.

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La mossa del pinguinoLa mossa del pinguino, ovvero dell’onestà di chi vuole partecipare alle olimpiadi senza avere la pretesa di vincerle. Vale per i protagonisti del film, ma vale anche per Claudio Amendola e tutto l’entourage del film che con schiettezza e semplicità affrontano la prova dello schermo.

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La crisi e la voglia di sognare spinge Bruno (Edoardo Leo) a inventarsi una partecipazione alle olimpiadi invernali di Torino nel 2006 in uno sport che in Italia non ha alcuna fortuna: il curling. Lo aiuta nell’impresa l’amico Salvatore (Ricky Memphis). Un giocatore di boccette Neno (Antonello Fassari) con aria da malavitoso e l’inflessibile Ottavio (Ennio Fantastichini) vigile urbano in pensione, ma grande giocatore di bocce, completano l’improbabile squadra. Poi c’è Eva (Francesca Inaudi) moglie di Bruno, donna con i piedi per terra che alleva un figlio intelligente e concreto.

Il film è direttissimo erede della commedia all’italiana e riesce a rielaborare alcuni dei suoi punti cardinali con agilità narrativa. Vi è il gruppo di amici sodali e drammaticamente sfortunati, vi è l’impresa impossibile da portare a termine (I soliti ignoti, La banda degli onesti, Poveri ma belli…), vi è il rapporto familiare fatto di solidarietà e conflitto, desiderio e sogno rappresentato da Bruno e il forte senso di realtà di Eva che tra le scombinate imprese del marito è l’unica ad assicurare alla famiglia uno stipendio sicuro. Si tratta di elementi ricorrenti in quella cinematografia e si pensi, quale esempio immediato, al personaggio di Alberto Sordi in Il seduttore oppure ai tanti altri titoli in cui il ruolo femminile diventa il rifugio sicuro dopo le tempeste, dopo le imprese fallite dei personaggi maschili. Non vi è da meravigliarsi se il film è proprio il racconto di un’impresa fallita che sembra invece andata a buon fine e in questo scarto sta la differenza ad esempio con il geniale film di Monicelli. Il pessimismo del regista toscano ha concepito un’opera divertente con un finale amaro, I soliti ignoti è il racconto di quattro sconfitte e solo chi fugge (Renato Salvatori) vince. Claudio Amendola, al suo esordio alla regia dopo anni e anni di televisione e cinema, con la complicità di Edoardo Leo scrive e dirige un film ottimista che traduce laLa mossa del pinguino_1 sconfitta collettiva in vittoria per i quattro protagonisti e per le proprie vite personali. L’esperienza di Amendola e la sensibilità di Leo – le sue prove di regia non sono passate inosservate – e la dedizione degli attori che con convinzione partecipano al progetto permettono a questo piccolo film che ha come dote migliore quella dell’onestà, di reggere anche le prove più dure quelle segnate dal sentimentalismo privato, quelle che svelano, in qualche misura la durezza di una condizione sociale dentro una crisi avvolgente e pervasiva che modifica perfino i rapporti familiari, inducendo alla rinuncia anche rispetto alla normalità delle scelte della propria vita.

La mossa del pinguino si assesta come un divertimento durante i tempi della crisi quando è difficile alimentare i sogni, anzi quando i sogni non ci sono più, ma resta il desiderio di ricostruire fosse solo grazie all’illusione. Al cinema è affidato questo compito e il film lo assolve con piena consapevolezza. Non crediamo che si volesse pretendere altro.

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