TORINO 31 – Noche, di Leonardo Brzezicki (Onde)
Il giovane esordiente Brzezicki orchestra una ipnotica suite audiovisiva dove dissolvenze incrociate, distonie fotografiche, sonoro antifrastico, silenzi improvvisi e oscurità perturbanti colpiscono nello stomaco lo spettatore, non gli concedono il tempo di “pensare” per il troppo “sentire”, delegando solo ai privati codici interiori l'(in)utile interpretazione di ogni simbolo aperto
Notte delle percezioni, notte del razionale, notte sul mondo. Ogni immagine è doppia o tripla, materica e texturata, al presente e al passato, con il “sonoro” diventato unica luce ormai percepibile. Cinema dell’orecchio quello dell’esordiente Brzezicki, che concepisce la sua inquadratura come enunciazione di un magma di suoni che uniscano un passato recente da indagare a un presente difficile da costruire. Nello spazio e nel tempo del sogno, sino al mattino. Argentina, oggi. Sei amici si ritrovano in un grande casale immerso nella natura, dove poco tempo prima un loro caro amico (Miguel) si è tolto la vita e dove sono “custoditi” tutti i nastri che ossessivamente registrava, tutte le tracce di una vita in suono, sino al tragico atto finale. I sei mescolano lentamente le loro esperienze e i loro rapporti presenti all’ostinata volontà di far rivivere Miguel attraverso la sua confusa e criptica memoria registrata, per arrivare al perché di un simile gesto e ritrovare una strada. Per se stessi e per il cinema…perché nel frattempo è ancora notte.
E allora: gli echi (da luogo colpito) “dentro” la casa si espandono come onde centrifughe nella ferina natura circostante, dove i ragazzi immersi negli elementi (acqua, aria, fuoco) fondono le due istanze nell’immagine del film. È come se la voce di Miguel provenisse dalle viscere della Terra, guidasse i destini dei suoi amici e del nostro sguardo, oltrepassando facilmente ogni barriera razionale e ogni barriera di linguaggio: Brzezicki orchestra una ipnotica suite audiovisiva dove dissolvenze incrociate, distonie fotografiche, sonoro antifrastico, silenzi improvvisi e oscurità perturbanti colpiscono nello stomaco lo spettatore, non gli concedono il tempo di “pensare” per il troppo “sentire”, delegando solo ai privati codici interiori l'(in)utile interpretazione di ogni simbolo aperto. Una riuscita “reviviscenza” del fantasma interiore che scatena pulsioni animalesche e desideri repressi, con una concezione dell’inquadratura che rimanda al connazionale Lisandro Alonso, una cura fotografica che ricorda il primo Sokurov e un sonoro materico che si rifà sottilmente a David Lynch. Ma, al di là di ogni alto referente, ciò che sorprende di più in questo film palesemente “costruito” nei minimi dettagli, è la capacità costante di sfuggire alle maglie di ogni facile interpretazione psicanalitica per aprirsi a un’esperienza sorprendentemente immersiva, fisica, carnale, seducente e mai superflua nella sua fertile “inconcludenza”. Il cinema Sudamericano (Boulocq, Alonso, Larrain, ecc) si conferma una miniera inesauribile di giovani cineasti folli e ambiziosi, immersi nella noche della loro recente Storia passata, e capaci di “pensare” ancora un cinema che guardi al futuro.