TORINO FILM FESTIVAL 26 – "Made in America", di Stacy Peralta (Lo Stato delle Cose)
Esemplare nel suo excursus storico e sociale ed estremamente acuto nell’ analizzare la crisi maschile e la sua involuzione tribalista, Made in America è un documentario sinfonico che mischia magistralmente i linguaggi visivi, con l’ alternarsi delle foto, dei fotogrammi e delle immagini a quelli sonori, con un uso della musica essenziale al ritmo del racconto
Se questa che è una vera e propria guerra, con un bilancio di morti pari a quello del Kosovo, di Mogadiscio e dell’ Irlanda del Nord, avesse luogo in un altro Paese, non interverrebbe l’Onu per fermare i massacri? O ancora di più; se le vittime di questa guerra, se i morti fossero bianchi, se abitassero in un’altra città americana o in altre zone della città, se ad essere decimati ogni anno fossero i sobborghi bianchi di L.A., il governo americano non interverrebbe con un piano d’ emergenza?
Sono queste le domande, inquietanti per il solo fatto di poter essere poste, che Stacy Peralta s’è fatto e dalle quali ha sviluppato questo bellissimo film. Raro esempio di non-fictional cinema sulle gang nere los angeline, “Made in America” è un documentario dal respiro ampio e profondo.
Già con Dogtown and Z-Boys (2002) e Riding Giants (2004) l’ ex-skateboarder Peralta aveva messo la forma documentaristica al servizio di un’indagine interessante e poco scontata sulle forme di aggregazione maschili. Made in America ne è la summa perfetta.
L’escursione storica sulla nascita e la diversificazione del fenomeno delle bande a L.A., arriva in profondità e non tralascia nulla. Così attraverso le interviste a Kumasi, Bird e Ron, ex membri degli Slausons, scopriamo che il fenomeno nasce nei tardi anni ’50 come forma di aggregazione giovanile che poco o niente aveva a che fare con la devianza o la criminalità. Sapere che “club” (come volevano chiamarsi, non ancora bande o “gang”) primordiali come gli Slausons o i Businessmen altro non erano se non tentativi un po’ gradassi di creare delle alternative ai Boy Scouts (nei quali spesso si consumavano discriminazioni razziali fortissime), fa un effetto insieme tenero e spaventoso.
La storia sociale americana scorre su un filo di tensioni e di rapporti causa-effetto. Così Peralta torna ai primi anni del ‘900, al post-schiavismo, ai linciaggi negli Stati del Sud e al flusso migratorio interno che portò moltissimi afroamericani (l’85% di loro viveva fino alla Seconda Guerra Mondiale prevalentemente al Sud) a trasferirsi per lavorare nelle industrie e nelle fabbriche.
Per la generazione dei padri, di quelli scampati al Sud del Ku Klux Klan,
Peralta non mostra dubbi: le violente repressioni poliziesche degli anni ’50 e ’60, l’ arresto di molti leader del Movimento, considerati dall’ FBI quasi terroristi, e l’ uccisione di molti attivisti ed esponenti dei Movimenti per i diritti degli afroamericani, sono la causa della frantumazione della comunità nera, della sua autoghettizzazione e involuzione.
Questo, unito alla crisi che portò alla chiusura, nei tardi anni ’60 di molte fabbriche come
Esemplare nel suo excursus storico e sociale ed estremamente acuto nell’ analizzare la crisi maschile e la sua involuzione tribalista, Made in America è un documentario sinfonico che mischia magistralmente i linguaggi visivi, con l’ alternarsi delle foto, dei fotogrammi e delle immagini a quelli sonori, con un uso della musica essenziale al ritmo del racconto. Le interviste ai ricercatori e agli studiosi si alternano a quelle agli ex-componenti delle varie gang. E tutte contribuiscono, senza didascalismo, alla spiegazione di un fenomeno inspiegabile. La galleria silenziosa di donne, madri, nonne e sorelle dei morti è efficace e spietata nella sua onestà.
La domanda iniziale, quella da cui è partito Peralta, sembra trovare una risposta amara, che non è altro che un acuirsi della stessa domanda. Gli ex membri delle gang hanno creato delle Fondazioni private attraverso le quali cercano di diffondere un’ alternativa alla violenza insensata. Sono loro che cercano di costruire una nuova identità maschile e di fermare il massacro.
Nell’ America dopo il 4 novembre, in quello che potrebbe essere l’ inizio di una nuova fase di speranza, di riscatto sociale, le tensioni e le morti di Los Angeles sono ancora più inspiegabili. E il film di Peralta, con il suo sguardo sdegnato, coraggioso e accusatorio è un’occasione imperdibile per capire l’assurdità del presente recuperandone le radici lontane e profonde.