TORINO FILM FESTIVAL 26 – "Mateo Falcone", di Eric Vuillard (Fuori Concorso)

Intrigante esordio alla regia per l’autore francese. Cinema minimalista del non detto, dal ritmo non uniforme. Buona parte del film racconta la caccia all’uomo, ma il senso proprio non vuole ridursi unicamente all’azione principale. Il paesaggio e i suoi elementi partecipano alla vita dei personaggi. Cambi di luce continui, vento forte che accarezza campi di grano ed erba alta, il desiderio più forte è quello di sentire su un viso lo scorrere del tempo

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mateo falconeUn bambino viene lasciato solo per qualche ora dai genitori in un casale isolato. La tempesta incombe quando arriva un uomo in fuga, ferito, che chiede al bambino di procurargli un nascondiglio. Poco più tardi sopraggiunge un gruppo di soldati che sta dando la caccia all’uomo. I militari offrono al bambino un orologio per convincerlo a tradire il fuggitivo. Esordio alla regia per il quarantenne francese, scrittore e intellettuale, già autore di tre libri. Cinema minimalista del non detto, dal ritmo non uniforme. Buona parte del film racconta la caccia all’uomo, ma il senso del film proprio non vuole ridursi unicamente all’azione principale. Il paesaggio e i suoi elementi partecipano alla vita dei personaggi. Cambi di luce continui, vento forte che accarezza campi di grano ed erba alta, cavalli che appaiono e scompaiono continuamente dal campo, il desiderio più forte è quello di voler filmare il versante intimo, sentire su un viso lo scorrere del tempo. Ma quando i personaggi si incontrano, lasciano improvvisamente tutti questi aspetti e l’azione riprende, il montaggio ritorna a essere più serrato. I corpi si scontrano e la vita si concentra brutalmente in un gesto o in un grido. Cinema crudo, ma allo stesso tempo terribilmente estetizzante, che ricorda nelle sue atmosfere, tra gli autori contemporanei, il siberiano Ivan Vyrypaev, in concorso due anni fa a Venezia con l’affascinante quanto però controverso Euphoria. Elegiache, sontuose, “volatili”, a tratti persino barocche, entrambe le pellicole non risparmiano il piacere della staticità artistica che sembra stridere con il passato, volteggiando, presuntuose e leggere, a ridosso dell’intellettualismo “contrario” al cinema. Ma c’è in fondo, anche in Mateo Falcone, una temibile disarmonia, una calcolata definitezza di sguardo, che non può lasciare indifferenti, deve almeno scuotere il nostro piacere di guardare, o la nostra perversa ricerca di un tragico affresco. Eric Vuillard potrebbe interessare a pochi, ma sicuramente non gli manca il coraggio di osare per essere magari banalmente accusato di manierismo spicciolo.    
 
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