Tornare all’Anormalità (più complesso di un virus), di AA.VV.

Otto paesi, otto storie, nove registi accomunati dall’intento di raccontare le contraddizioni sociali preesistenti al Covid ed esplose in tutto il pianeta con la pandemia. Disponibile su Streeen.org

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«C’è un panorama apocalittico, una visione macabra, una follia diffusa, che si stende come un velo sul nostro pianeta. Si trova sotto infinite vetrine e insegne luminose. Da più parti grida strazianti, diritti negati da argomenti difficili da sostenere, dignità soffocate».

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Questo si legge tra le note di regia di Tornare all’Anormalità (più complesso di un virus), documentario collettivo che dal 30 gennaio è visibile in tutto il mondo sulla piattaforma Streeen. Nove regist* indipendent* da otto paesi del mondo, otto storie accomunate dall’intento di raccontare quelle contraddizioni sociali preesistenti al Covid poi esplose definitivamente in tutto il pianeta con la pandemia. Assuefatti come siamo al lessico emergenziale e pandemico, alle ansie e alle paure individuali, troppo spesso infatti ci mostriamo ciechi al cospetto di tali disuguaglianze. Da un’idea di Stefano Virgilio Cipressi, il documentario prende avvio dunque dal punto di partenza sanitario per andare a mettere in luce criticamente le zone d’ombra comuni, ahinoi, a molti luoghi della Terra, tessendo un racconto per capitoli distinti che finisce poi per intrecciarsi inesorabilmente e che mostra un’unica umanità in cui riconoscersi, dimostrando così una visione globale dei problemi rara da incontrare in un’epoca di nazionalismi diffusi. Il diritto alla salute negato non è infatti l’unica ingiustizia che il virus ha fatto emergere e, mentre governi e multinazionali «sempre pronti a sacrificare la vita su larga scala per il profitto» si arricchiscono, come ha ricordato a più riprese in questi mesi la giornalista e scrittrice Naomi Klein, abbiamo assistito ad uno spaventoso aumento delle violenze domestiche acuite dall’isolamento, come all’esplodere delle differenze tra ricchi e poveri, ed abbiamo potuto così definitivamente constatare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che le vite delle persone non hanno tutte lo stesso valore.

Tornare all’Anormalità è una traccia autentica, complessa, trasversale e itinerante di ciò che accade nel mondo. Il film ha inizio in Ecuador, a Guayaquil la città più colpita dal Corona virus, dove le riprese di Priscilla Aguirre mostrano lo scenario apocalittico dei morti dei Covid scaricati e abbandonati per le strade, gettati in fosse comuni di fortuna o semplicemente spariti, lasciando intere famiglie senza corpi da seppellire. In Colombia, per la regia di Lukas Jaramillo e Juan Pablo Patiño, Rosa e Fredy vivono in uno dei quartieri più poveri di Medellín; non temono il Covid, perché per loro la morte, la paura, il chiudersi in casa sono una realtà già conosciuta. E ancora, una riflessione sulla necessità di stare in movimento, portata avanti da Pauli Gutiérrez Arcos ci porta in viaggio per il mondo, a partire da un luogo tristemente privilegiato: la Cina nei primi giorni della pandemia. Il capitolo italiano di Stefano Virgilio Cipressi dà voce al mondo delle fabbriche, agli operai costretti come carne da macello a esporsi al contagio durante il lockdown. Dalla Spagna, grazie alla testimonianza personale di Xabier Ortiz De Urbinaviene raccontata la fine dell’idea di cura in famiglia per gli anziani e il business delle case di riposo. In Idaho, negli Stati Uniti, incontriamo un fiero sostenitore del possesso di armi appartenente alla destra americana filmato da Andrés Rico; mentre in Brasile gli indigeni vengono accusati da Bolsonaro di essere loro stessi gli autori degli incendi della Foresta Amazzonica; Raíssa Dourado ci accompagna in un suggestivo percorso nei luoghi amati e abitati dagli indigeni, dando loro voce. L’ultima tappa di questo viaggio filmico nella realtà, che potrebbe ipoteticamente accoglierne molte altre, è infine nel Messico segnato dalla ferita sempre più profonda del femminicidio: un elenco di nomi, di date e di luoghi che raccontano il dolore di donne e bambine uccise durante il lockdown.

Ogni luogo ha la sua piaga, il suo problema, ma già ad un primissimo sguardo appare chiaro che si tratta di contraddizioni, ingiustizie e nemici comuni, da combattere insieme: il problema delle violenze sulle donne non è prerogativa messicana, come quello degli sfruttamenti in nome del capitale o dei disastri ecologici non sono criticità esclusivamente italiane o brasiliane. Tornare all’Anormalità ci spinge a prenderne atto ed a agire, collettivamente. Un chiaro auspicio da leggersi anche in ottica (meta)cinematografica. Si tratta infatti d’un film realizzato quando cinema, teatri e luoghi di cultura erano chiusi. Oggi, a più di dieci mesi, la situazione non è cambiata e molti di questi posti rischiano l’estinzione. Il lavoro sinergico di quest* regist* pronti a collaborare attraverso il mondo è un atto di resistenza ed un messaggio chiaro per tutti i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo o semplicemente per coloro che amano il cinema, specie se di realtà.

Il ricavato del film sarà interamente devoluto ad Emergency ONG Onlus per offrire un contributo alla lotta in diritto della salute per tutti gli individui.

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