Tranchées, di Loup Bureau
Loup Bureau ci mostra l’orrore di un conflitto dimenticato, che perde lo statuto di straordinarietà e diventa ordinario, confinato nell’agghiacciante banalità del quotidiano. Fuori concorso
Con il suo Tranchées, fuori concorso al Lido, Loup Bureau ci racconta l’ultimo conflitto armato europeo e cioè quello fra l’esercito ucraino e i separatisti filorussi, appoggiati dalla Russia. È proprio un giovane soldato a definirlo così, “l’ultimo conflitto armato”, rivolgendosi a chi riprende da quella che è la sua nuova casa, tutta da costruire, da creare scavando nella terra: la trincea, in cui i ragazzi, giovanissimi soldati, sostano e attendono. Siamo nel 2015 e la regione è quella del Donbas. Quella che era una guerra di movimento è cambiata e il conflitto si è congelato, immobilizzato, spostandosi sotto il livello della terra, ottimo posto per proteggersi dalle bombe dei separatisti. Ed in trincea il conflitto diventa ancora più drammatico, poiché potenzialmente infinito. Si quotidianizza, ed è questo che Loup Bureau vuole mostrarci: l’aspetto banale e drammatico di una quotidianità nascosta e dimenticata, lontana dai riflettori e dai notiziari. Lo fa scendendo con la macchina da presa lì dove ogni guerra viene combattuta e cioè ovunque tranne che nei luoghi di potere.
Così si sofferma sui particolari, sugli oggetti di ogni giorno: lamette, fornelli, divani improvvisati, tetti fatti con lamiere, tavolini improvvisati. Ci sono cani e cuccioli di gatto. Animali domestici, animali da tenere in casa. Siamo fuori dalla straordinarietà del conflitto, in trincea non c’è movimento, e anche sotto i bombardamenti, tutto finisce per diventare normale. E forse anche per questo Bureau si concede pochi momenti di eccessi drammatici, di picchi lirici, relegandoli nei rari attimi di movimento, quando i soldati si spostano da una posizione all’altra e attraversano il lungo serpente di terra, accompagnati da potenti sequenze musicali. Per il resto la realtà è normale, terribilmente normale. Vien da pensare ad Austerlitz di Sergei Loznitsa, altro film “veneziano”, proiettato al Festival di Venezia nel 2016. Film completamente diverso e molto più potente, va detto, perché ostinato nel riprendere, deciso a non mollare mai lo spettatore chiamato ad assistere dietro la mutezza delle telecamere di sorveglianza.
Ma a suo modo Tranchées lo ricorda, proprio per la riflessione sulla perdita dello statuto orrorifico di certi luoghi, che da straordinari diventano ordinari, finendo così per essere dimenticati. I ragazzi nelle trincee cucinano, si radono, fumano e giocano a videogiochi di guerra. Ecco un’altra ottima intuizione di Bureau, mostrare con le sue immagini come i ragazzi cerchino il conflitto: la fuga dall’immobilità e il momento di impugnare le armi diventano attimi divertenti, quasi giocosi, poiché spezzano l’apatia delle giornate. Tutto ciò lo vediamo nell’intensità dei primi piani, lo leggiamo nei volti dei giovani soldati e in quello dell’unica soldatessa presente (soprannominata Persefone, regina degli Inferi). In ogni volto avvertiamo la tragedia e il dubbio di concepire la trincea come unica casa in cui si riesca davvero ad abitare.
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani