Tre ciotole, di Isabel Coixet
Il confronto impari con il romanzo di Michela Murgia limita un film segnato anche dalla letterarietà del cinema della regista. Ci sono però anche lampi sorprendenti grazie a Germano-Rohrwacher
Fine di una storia. Elio Germano e Alba Rohrwacher ripartono da un’altra frattura che mette fine alla loro relazione dopo quella tra i loro personaggi in Troppa grazia. In tutta la parte iniziale di Tre ciotole, la dinamica del loro rapporto ormai alla fine sembra riprendere quella del film di Gianni Zanasi. Proprio qui, all’inizio, i due attori sembrano prendersi il film da soli, sostenuti da una complicità che forse scavalca anche la scrittura del romanzo omonimo di Michela Murgia pubblicato nel 2023. Tutto è rapidissimo. Il percorso in strada in motorino, il supermercato dove fanno la spesa, le tre ciotole, la discussione a casa. Fine. Oltre alla bravura dei due attori, è questo il momento più libero di questo adattamento che richiama uno dei titoli migliori di Coixet, La mia vita senza me, dove affronta come in questo film il tema della malattia.
Marta e Antonio si sono lasciati. Lei insegna educazione fisica, lui gestisce il ristorante “Senza fine”. Alla separazione reagiscono in maniera diversa. Marta si chiude in se stessa e fa fatica a mangiare. Antonio si butta invece completamente sul lavoro ma continua a pensare a lei. Un giorno però nella vita della donna cambia tutto. Su consiglio della sorella Elisa, decide di farsi visitare e scopre che la sua mancanza di appetito non dipende dalla fine della storia con Antonio.
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Tre ciotole esplora le cicatrici nascoste nei personaggi, nella “vita segreta delle parole” per rifarsi a un altro film della cineasta spagnola. Sono le stesse mostrate, esplicitate sulle braccia di due studentesse di Marta che si fanno dei tagli sul braccio di nascosto mentre sono in bagno. A volte il simbolismo del cinema di Isabel Coixet è eccessivamente marcato ed è un difetto che si riscontra anhe in parte nella sua filmografia. In più c’è un confronto forte, anche impari, con il libro di Michela Murgia da cui non può sottrarsi ma che lo condiziona. A farne le spese sono soprattutto le figure della sorella di Elisa, interpretata da Silvia D’Amico e del professore di filosofia portato sullo schermo da Francesco Carril, l’ottimo protagonista della bellissima serie Dieci Capodanni; non hanno infatti quella libertà pregressa, ‘alla Zanasi’ della coppia Rohrwacher-Germano. In più appaiono ingombranti alcuni richiami come quelli di Feuerbach (il libro L’uomo è ciò che mangia) e alla cultura coreana con il cartonato della pop star che si porta in casa. Il prologo con la voce off della protagonista – a cui poi si incrocia anche quella di Antonio – evidenzia quella letterarietà di fondo comunque sempre al limite del compiacimento nel cinema di Coixet. Però in Tre ciotole ci sono anche dei lampi sorprendenti: gli sguardi su Roma mai turistici ma come tracce del vissuto dei protagonisti, i flashback del passato felice, la dimensione finalmente astratta sulle note di Sant’allegria nella versione di Ornella Vanoni e Mahmood. Lì Tre ciotole trova a tratti la sua vera identità, la sua anima, che però non trattiene e finisce per smarrire. Forse poteva essere rischioso, ma lasciare giocare da soli Germano e Rohrwacher poteva essere la vera sfida rispetto a un romanzo che porta, giocoforza, il film verso percorsi comunque già tracciati. Quelli che invece Troppa grazia accenna e poi abbandona facendo magicamente perdere il senso dell’orientamento.
Regia: Isabel Coixet
Interpreti: Alba Rohrwacher, Elio Germano, Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril, Sarita Choudhury, Sofia D’Elia, Aisha Meki
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 120′
Origine: Italia, Spagna, 2025





















