Trieste Film Festival 28. Il programma ufficiale

Torna il Trieste Film Festival, il principale appuntamento italiano con il cinema dell’Europa centro-orientale, giunta alla sua ventottesima edizione. Dal 20 al 29 gennaio. IL PROGRAMMA COMPLETO

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Sta per prendere il via la 28° edizione del TRIESTE FILM FESTIVAL, l’appuntamento  che mette pieno focus sul cinema dell’Europa centro orientale, in concorso dal 20 al 29 gennaio.
Alla vigilia del suo trentennale, il festival continua ad essere ritrovo per quella cinematografia e i suoi autori spesso poco noti al pubblico occidentale, ponendosi come tramite e incontro per le diverse latitudini dell’Europa del cinema.
L’edizione che si aprirà a breve, diretta da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, rinnova l’intento preminente del dar luce alle nuove tendenze destinate ad imporsi nel panorama internazionale.

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Venerdì 20 gennaio sarà il nuovo film di Jan Hřebejk (autore candidato all’Oscar per il miglior film straniero nel 2000 con Divided We Fall) ad aprire il festival con l’atteso The Teacher, prossimamente in uscita nelle sale italiane distribuito da Satine Film. Un apologo, ispirato a una storia vera, venato di umorismo grottesco capace di trascendere ogni coordinata di regime politico (siamo a Bratislava, nella Cecoslovacchia del 1983 che inizia a sbirciare oltre la cortina di ferro e il Socialismo reale) attraverso una memorabile figura di insegnante soltanto all’apparenza mite e rassicurante. Un ruolo che è valso all’interprete Zuzana Mauréry il premio per la migliore attrice all’ultimo Festival di Karlovy Vary.

A tener banco nel nucleo centrale del programma si rinsaldano i tre concorsi internazionali dedicati a lungometraggi, cortometraggi e documentari, per i quali il pubblico sarà nuovamente protagonista nel decretare i vincitori del festival.
Il Concorso internazionale lungometraggi vedrà in rassegna dieci pellicole, tutte inedite in Italia: nel comune filo conduttore di un “passato che non passa” ad angolazione di una percezione femminile troveremo i due titoli A Good Wife, esordio alla regia dell’attrice serba (qui anche protagonista) Mirjana Karanović, e On The Other Side del croato Zrinko Ogresta. Nel primo, ispirato a una storia vera, una donna di 50 anni, Milena, deve fare i conti con la scoperta di una pagina oscura della vita del marito, oggi imprenditore immobiliare ma ieri responsabile di un eccidio di civili; nel secondo, Vesna è una donna che lavora come infermiera a Zagabria, dove si è trasferita venti anni prima con il figlio e la figlia, dopo che il marito Žarko è stato condannato per crimini di guerra.

L’emigrazione si affaccia quest’anno in una doppia veste: se il Greco Amerika Square di Yannis Sakaridis intreccia tre storie sullo sfondo di una città che – come spiega il regista – somiglia sempre di più a “una moderna Casablanca dove migliaia di persone aspettano un pezzo di carta, un passaporto falso o un posto su un camion

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press-a-good-wife-01, su una barca, su qualsiasi mezzo li trasporti nell’Ovest dell’Europa”, il rumeno By The Rails di Cătălin Mitulescu racconta il ritorno in patria di Adrian che, partito un anno prima per lavorare in Italia e aiutare finanziariamente la famiglia, al rientro trova ad aspettarlo una moglie che stenta a ricambiare il suo affetto e un figlio cresciuto troppo in fretta.
È, in parte, la storia di un ritorno a casa, e di due famiglie mai state troppo in sintonia, anche quella raccontata dall’ungherese It’s Not The Time Of My Life, diretto e interpretato da Szabolcs Hajdu: un film a basso costo (girato a casa del regista, con una troupe di studenti dell’Università di Budapest e un cast artistico perlopiù di amici e parenti) che si è imposto come un vero e proprio “caso”, conquistando a Karlovy Vary il Grand Prix come miglior film e il premio per la migliore interpretazione maschile.
Applaudito a Karlovy Vary (e premiato per la migliore regia) anche lo sloveno Nightlife di Damjan Kozole, storia di un incidente che in un istante cambia la vita di una coppia benestante di Lubiana, costringendo una donna a confrontarsi con le proprie paure più profonde e a infrangere le leggi morali difese fino ad allora.
La Bulgaria si presenta con i suoi autori più affermati, Kristina Grozeva e Petar Valchanov, che dopo il successo internazionale di The Lesson firmano con Glory il ritratto di un Paese preda di una corruzione diffusa e di una impietosa disparità sociale.

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La Repubblica Ceca guarda ad uno sconvolgente episodio del proprio drammatico passato con I, Olga Hepnarová di Tomáš Weinreb e Petr Kazda, che ricostruisce il caso di Olga Hepnarova, una ragazza omosessuale di 22 anni che, rifiutata dalla famiglia e dalla società, il 10 luglio 1973 decide di “vendicarsi” abbattendosi con un camion su una fermata dell’autobus del centro di Praga e uccidendo otto persone. Due anni dopo sarà impiccata, ultima donna a essere condannata a morte in Cecoslovacchia.
Un fatto di cronaca nera è alla base del polacco Playground di Bartosz M. Kowalski, che osserva una “ordinaria” esplosione di violenza adolescenziale in un pomeriggio noioso e solo apparentemente tranquillo.
L’Italia e l’Austria, infine, con la coproduzione Mister Universo di Tizza Covi e Rainer Frimmel: gli autori di La Pivellina continuano a perseguire un cinema soltanto all’apparenza immediato e semplice, frutto in realtà di un lavoro lungo e meditato. Ambientato nel mondo del circo, il film segue il viaggio attraverso l’Italia del giovane domatore di leoni Tairo alla ricerca di Arthur Robin, carismatico Mister Universo degli anni ’50.

Saranno presentati fuori concorso i cinque titoli di questa edizione selezionati come Eventi Speciali: in primo luogo l’omaggio postumo all’autore Andrzej Wajda con il suo Afterimage, ritratto del grande pittore Władysław Strzemiński perseguitato dal regime per il suo rifiuto di scendere a compromessi con le dottrine del realismo socialista. Ultimo regalo di un gigante del cinema ma anche di uno straordinario testimone della storia europea del XX secolo.

Si prosegue con la riscoperta di un classico del cinema sloveno da poco restaurato, The Valley Of Peace del candidato all’Oscar France Štiglic: una “favola bellica” ad altezza di bambino sulla fuga dalla guerra di due orfani, la tedesca Lotti e lo sloveno Marko, aiutati da un pilota americano di colore. La pellicola, che fu presentata nel 1957 in concorso al Festival di Cannes, ha protagonista John Kitzmiller che, dimenticato interprete anche di tanto cinema italiano (da Vivere in pace di Luigi Zampa a Luci del varietà di Lattuada e Fellini), vinse il premio come miglior attore “sbaragliando” avversari del calibro di Gary Cooper e Max von Sydow.
Restiamo nell’ambito di Cannes per l’omaggio a Omero Antonutti con la proiezione di Padre Padrone dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, occasione per celebrare il quarantesimo anniversario della Palma d’oro.

Il Festival ospiterà inoltre la consegna di un premio di nuova istituzione, quello promosso dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) per segnalare il “Miglior film italiano dell’anno”. A vincere la prima edizione è Fai bei sogni di Marco Bellocchio, autore che sarà anche protagonista il 28 gennaio di un incontro con il pubblico.

In collaborazione con Muggia Teatro, inoltre, il Trieste Film Festival ospita la proiezione di These Are The Rules di Ognjen Sviličić: un’occasione per approfondire la conoscenza di uno dei più importanti attori della scena e del cinema bosniaci, Emir Hadžihafizbegović, premiato proprio per questo film alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e già interprete di titoli come Papà è in viaggio d’affari di Emir Kusturica, Karaula di Rajko Grlić e Il segreto di Esma di Jasmila Žbanić.
Nuove anteprime per l’Italia anche nel Concorso internazionale Documentari, che si avvale di undici titoli.

Lidija Zelović nel suo My Own Private War, ci racconta un viaggio interiore attraverso i ricordi, i luoghi e le persone che ama. Nata a Sarajevo, fuggita nel 1993 nei Paesi Bassi, Zelović ha sempre continuato a indagare la guerra, fino a rendersi conto che la guerra è “dentro” le persone e, anche, dentro di sé.

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Ci collochiamo ancora in un teatro di guerra con l’Ucraina raccontata da Peter Entell in Comme La Rosée Au Soleil: un secolo fa i nonni del regista sono dovuti fuggire da quella terra dilaniata dai massacri. Cento anni dopo, lo stesso nazionalismo distruttivo: la gente continua a uccidere in nome della madre patria, della bandiera, della cultura, della religione. Da un posto di blocco all’altro, Entell ci porta dagli ucraini lealisti ai separatisti filo-russi, senza voler stabilire chi abbia ragione e chi torto, ma parlandoci della follia umana che si tramanda dall’alba dei tempi.
La regista serba Tamara von Steiner, da anni residente in Sicilia, con il corto Controindicazione ci porta in un luogo sconvolgente come l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, chiuso nel 2015, una sorta di sistema invincibile, di entità indipendente per la quale nessuno si assume alcuna responsabilità e che distrugge le vite e la dignità umana.
Inevitabili similitudini con Manuel De Libération di Aleksandr Kuznecov, dove troviamo le protagoniste Julija e Katia che, dopo l’infanzia in orfanotrofio, vivono l’incubo dell’istituto neuropsichiatrico in Siberia e la difficile strada per riconquistare i propri diritti affrontando la terribile burocrazia russa. Il regista segue la vita delle due donne: la loro routine quotidiana, qualche breve momento di piacere, i ricordi più dolorosi, l’attesa per la decisione del tribunale, nuove prove, delusioni e nuove speranze.
Metodo opposto quello indagato dal ceco Miroslav Janek nel suo Normal Autistic Film, nel racconto di cinque ragazzi straordinari che la società ha etichettato, senza mezzi termini, “autistici”: un invito a riflettere sulla condizione dell’autismo inteso banalmente come “problema medico”, nel rivedere i nostri pregiudizi verso un universo affascinante seppur difficilmente decifrabile.
Straordinaria anche la giovane Ola, protagonista del polacco Communion di Anna Zamecka. Quando gli adulti sono incapaci, i bambini devono crescere in fretta, e Ola, a 14 anni, già si prende cura del padre e del fratello: la madre vive altrove, si sentono solo per telefono. La comunione del fratello diventa così per Ola l’occasione per organizzare una festa perfetta che riunisca finalmente la sua famiglia.
La Bulgaria diviene terreno fertile per manifestare la percezione di Tonislav Hristov sulla questione “emergenza immigrati” nel corto The Good Postman: storia di un postino che in un piccolo paese al confine con la Turchia si candida a sindaco con un programma “rivoluzionario” che vuole ridare vita al villaggio ormai morente accogliendo i rifugiati. Peccato che non tutti siano d’accordo, a cominciare dai nostalgici del comunismo.
Una scienziata lituana tra le montagne del Kazakistan è la protagonista di The Woman And The Glacier di Audrius Stonys, alle prese con una vita solitaria a 3500 metri sopra il livello del mare, impegnata da trent’anni nello studio dei cambiamenti climatici nel ghiacciaio Tuyuksu.
Houston, We Have A Problem di Žiga Virc smuove realtà e finzione nell’affrontare uno dei temi più cari ai teorici della cospirazione, la corsa allo spazio. Virc porta alla luce il mito dell’accordo multimiliardario dietro l’acquisto da parte degli Stati Uniti del programma spaziale segreto di Tito, all’inizio degli anni ’60.
Due punti di vista opposti chiudono il cerchio: l’orrore della Seconda guerra mondiale narrato nella quotidianità di chi ne fu testimone se non complice, seppure dietro a una scrivania, come Brunilde Pomsel. Segretaria, stenografa e dattilografa di Joseph Goebbels, oggi, a 105 anni, per la prima volta si espone in A German di Christian Krönes, Olaf S. Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer. Mentre le vittime, come i rom e i sinti del cui Olocausto poco o nulla si sa, sono il fulcro del brano filmico di A Hole In The Head di Robert Kirchhoff.

Ein Deutsches Leben

Nei tre documentari fuori concorso farà incursione la prima mondiale di Trieste, Yugoslavia di Alessio Bozzer che, attraverso un mosaico di materiali d’archivio, storie e testimonianze, ricostruisce gli anni in cui Trieste divenne per tutti gli abitanti dell’allora Jugoslavia la meta prediletta per lo shopping e in particolare per il capo d’abbigliamento simbolo degli anni 70 e 80, i blue jeans.
L’austriaco Peter Zach ci catapulterà in un roadmovie con Beyond Boundaries, nel viaggio tra i confini e sugli abitanti dell’Europa Centrale accompagnato dai testi del noto poeta sloveno Aleš Šteger. Una meditazione filosofica su qualcosa che potremmo perdere: l’Europa.
Dalla Polonia arriva All These Sleepless Nights di Michał Marczak: premiato per la migliore regia al Sundance 2016, il film, con libero riferimento alle Nouvelle Vague degli anni ’60, racconta una Varsavia sospesa fra il suo traumatico passato e un futuro alimentato da una nuova generazione piena di energia.

Grande attesa per la masterclass che vedrà protagonista in questa edizione il documentarista russo Vitalij Manskij, vincitore lo scorso anno del premio come miglior documentario per Under the Sun e quest’anno al centro di un omaggio in 8 film che attraversa la sua vasta filmografia, da Cuts of Another War (1993), passando per Bliss (1996), Private Chronicles. Monologue (1999), Broadway. Black Sea (2002), Gagarin’s Pioneers. Our Motherland (2004), Virginity (2008) e Patria o muerte (2011), fino all’ultimo Close Relations (2016), forse il più “autobiografico” dei suoi lavori: un viaggio attraverso l’Ucraina (dove il regista è nato, a Leopoli, nel 1963) per capire cosa è accaduto dopo la rivoluzione di Piazza Maidan, e quanto la rivoluzione abbia segnato anche la propria famiglia, sparsa in tutto il Paese, da Leopoli a Odessa, dalla zona separatista del Donbass a Sebastopoli in Crimea. Un film profondamente attuale, che al tempo stesso si fa indagine sul passato e la Storia, cercando di capire le ragioni profonde del conflitto russo-ucraino. Un’indagine che, come e più dei film precedenti, ha attirato su Manskij l’aperta ostilità del governo russo.

La formula Premio Corso Salani si conferma anche quest’anno e propone quattro film italiani ultimati nel corso del 2016 e ancora in attesa di distribuzione. Il Premio, che si avvale della cifra di 2000 euro per il vincitore, pone in essere un coadiuvante al fine di incentivare la diffusione nelle sale del film trionfante. La selezione si avvale di opere indipendenti, non facilmente inquadrabili in generi o formati e per questo innovative, nello stesso spirito del cinema di Salani.

I titoli che ne prenderanno parte: Un Altro Me di Claudio Casazza, un anno con i detenuti per reati sessuali del Carcere di Bollate, quelli che nella subcultura carceraria sono “gli infami”, spesso separati da tutti e isolati dal resto dei detenuti; Chi Mi Ha Incontrato Non Mi Ha Visto di Bruno Bigoni, irresistibile mockumentary sul ritrovamento di una misteriosa fotografia di Arthur Rimbaud, dalla quale potrebbero emergere conclusioni rivoluzionarie sulla vita e le opere del poeta; La Natura Delle Cose di Laura Viezzoli, immersione emotiva e filosofica in quel prezioso periodo dell’esistenza che è il fine vita, attraverso un anno d’incontri e dialoghi tra l’autrice e il protagonista, malato terminale di SLA; e Sette Giorni di Rolando Colla, una storia di attrazione e desiderio che travolge un uomo e una donna – interpretati da Bruno Todeschini e Alessia Barela – che si incontrano per la prima volta su un’isola siciliana.

IL PROGRAMMA COMPLETO

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