Trifole – Le radici dimenticate, di Gabriele Fabbro
Interessante opera, in cerca di tartufi nelle Langhe piemontesi, immersi nel mondo magico-realista della natura vergine e distese di vigneti, teatro di crisi esistenziali e passioni di una vita.
Dalia (Idalie Turk), per espressa volontà della madre, da Londra si trasferisce nelle Langhe per assistere Igor, l’anziano nonno (Umberto Orsini) che non vedeva da diversi anni. Igor è affetto da demenza senile, ma sta lottando con le poche forze rimaste affinché la sua proprietà, circondata dalla natura e dai vigneti, non venga espropriata per sfratto. I colossi delle aziende vinicole locali stanno ormai disboscando senza alcun freno. L’unica speranza è trovare il tartufo bianco d’Alba più grande di sempre, nascosto da qualche parte e che Igor ha sempre cercato senza sosta, così da poter pagare tutti i debiti e salvare la casa. Stavolta sarà la nipote ad aiutarlo, coadiuvata dalla fedele cagnolina Birba. La mamma, Marta (Margherita Buy), collegata quasi tutti i giorni da remoto da Londra, ha anche lei una speranza nel cuore: la figlia ritrovi se stessa, dopo una profonda crisi esistenziale e un lungo periodo di scoramento, che l’ha resa assai vulnerabile e totalmente delusa dalla vita. Una figura fragile, di altri tempi, insicura che nasconde però grandi passioni e coraggio.
Ecco, probabilmente sta qui il cuore, l’idea di preservare le tradizioni soffocate ormai dalla velocità del mondo contemporaneo. Trifole – Le radici dimenticate è senza dubbio un’opera dallo stile particolarmente delicato, capace di valorizzare anche i paesaggi che fanno da teatro alla storia. C’è una sorta di armoniosità che traspare nelle inquadrature, quella stessa cadenza armoniosa che richiama tratti pittorici del mondo magico-realista. Anche se sembra leggermente incartarsi nella seconda parte, che giunge al culmine con l’asta dei tartufi, dove Enzo Iacchetti e Caterina Balivo sono i battitori, il ventottenne regista Gabriele Fabbro, al suo secondo lungometraggio, dopo anni di formazione negli Stati Uniti, sembra davvero farsi guidare dalla poetica di Cesare Pavese. Non a caso il film comincia con una nota estrapolazione da Il mestiere di vivere. Il tono espressivo in effetti, così come l’apparato visivo dell’opera, è dal un lato semplice e rapido (come spesso accade quando si dialoga con sé stessi), ma dall’altro contiene l’aspetto personale e privato, con la perpetua e ossessiva ricerca di una passione che risulta sempre fonte di sofferenza e frustrazione.
Regia: Gabriele Fabbro
Interpreti: Idalie Turk, Umberto Orsini, Margherita Buy, Enzo Iacchetti, Caterina Balivo, Frances Sholto-Douglas, Francesco Zecca, Ludovica Mancini
Distribuzione: Officine UBU
Durata: 100’
Origine: Italia, 2024