TS+FF 2018 – Il genio degli fx Douglas Trumbull raccontato da Grégory Wallet

Trumbull Land ci immerge nel mondo, reale e immaginario, di un grande innovatore che ha segnato la storia della fantascienza cinematografica. Tra cult del passato e geniali idee per il futuro

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Un alieno a Trieste. E non è un caso che a presentarlo, in apertura del documentario biografico dedicato all’alieno in questione, noto al genere umano con il nome di Douglas Trumbull, siano “gente” come Denis Villeneuve, Gaspar Noé e Ridley Scott. Il francese Grégory Wallet, autore di una tesi di dottorato in Scienze Cognitive, esperto nelle relazioni tra cognizione, media immersivi e nuove tecnologie, nonché docente di Studi Cinematografici e Audiovisivi presso l’Università di Rennes, ha curato la sceneggiatura e ha diretto Trumbull Land, omaggio ad uno dei più grandi innovatori nell’ambito degli effetti speciali della settima arte. Tre nomination ai Premi Oscar per gli effetti speciali di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Star Trek e Blade Runner, Trumbull ha ottenuto un Oscar speciale per meriti tecnico-scientifici nel 1993 (per l’ideazione concettuale del “CP-65 Showscan Camera System” per film in 65 mm con Geoffrey H. Williamson per la progettazione del movimento, Robert D. Auguste per la progettazione elettronica e Edmund M. Di Giulio per la progettazione del sistema) ed un Gordon E. Sawyer Award per significativi contributi tecnologici nel 2012. Il settantaseienne regista, produttore ed effettista losangelino, ospite del Trieste Science+Fiction Festival 2018 che lo insignisce del Premio Urania d’Argento alla Carriera, ne ha “viste di cose che noi umani non potremmo immaginare”. O meglio, le ha addirittura create con le sue mani. Trumbull Land, al contrario, non ha bisogno di effetti speciali e ci introduce nel suo mondo attraverso il più classico e lineare dei racconti documentaristici, con introduzione affidata a guest star d’eccezione, spezzoni di interviste al protagonista, fotografie e immagini di repertorio. In particolare, ci immerge nella quiete bucolica delle Berkshire Hills, nel Massachusetts occidentale, dove per oltre 50 acri si distende il suo regno, una sorta di felice connubio tra ranch e campus, in cui Trumbull vive e lavora da una trentina d’anni. Tra le altre pellicole alle quali ha preso parte in veste di supervisore degli effetti speciali, ricordiamo Andromeda (1971) di Robert Wise e L’Inferno di Cristallo (1974) di John Guillermin e Irwin Allen – per altro non accreditato – mentre negli anni Duemila ha stretto una proficua collaborazione professionale con Terrence Malick, lavorando a The Tree of Life (2011) e Voyage of Time (2016).

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Il suo ingresso nel mondo del cinema, come racconta egli stesso, fu quasi casuale. Illustratore negli anni Sessanta per la Graphic Films, piccolo studio che produceva animazioni e  filmati istituzionali per la NASA, nel 1964 – in occasione dell’Esposizione Universale di New York (New York World’s Fair) – gli fu affidato il compito di realizzare un film in Cinerama, To the Moon and Beyond. La pellicola fu proiettata sulla cupola di un planetario, per la precisione sulla “moon dome”, alta 96 piedi, che era parte dell’edificio adibito ai trasporti e ai viaggi durante la fiera (padiglione numero 123). Una scelta che consentiva la fruizione di un’esperienza audiovisiva intensa e coinvolgente, mimetica e illusionistica, grazie al perfezionamento dell’acustica, alle dimensioni più grandi di quelle di uno schermo classico e all’utilizzo di una frequenza di fotogrammi accelerata. Accadde così che all’età di 23 anni Trumbull ricevette una telefonata con richiesta di fissare un appuntamento: dall’altra parte dell’apparecchio, Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke, colpiti dalle sperimentazioni visive della sua creazione. “Mi anima quel sentimento di conquista che procura l’esplorazione dell’ignoto”, spiega Trumbull. E la celeberrima sequenza della “Porta delle Stelle” in 2001: Odissea nello Spazio (1968) lo sta a dimostrare: un “trucco” visivo che ha profondamente influenzato la sua visione del cinema, la sua carriera ed il suo futuro, ma che soprattutto ha radicalmente cambiato il modo di percepire la fantascienza di addetti ai lavori e spettatori. L’assunto di partenza era estremamente semplice: rendere l’idea di una transizione tra gli spazi ed i tempi verso un’altra dimensione. Ascoltare il racconto di Trumbull è anche un modo per conoscere l’evoluzione delle dinamiche degli studi di produzione hollywoodiani e succosi aneddoti legati alla storia del cinema. Veniamo così a sapere che dopo il clamoroso successo di Easy Rider, pellicola che contava su un investimento iniziale di soli 400.000 dollari, la Universal decise di produrre un pacchetto di cinque film low-budget  – massimo un milione di dollari – lasciando carta bianca ai registi nelle scelte di casting, montaggio e sceneggiatura. Michael Gruskoff, produttore e amico di Trumbull, convinse così la casa di produzione ad assegnare il budget per la realizzazione di un film di fantascienza con singolari venature ambientaliste, Silent Runnig, distribuito in Italia il 25 novembre 1976 col titolo 2002: La Seconda Odissea, una scelta arbitraria che lo fece passare come sequel del capolavoro di Kubrick, anche a causa dell’utilizzo di una scena che era stata soppressa nella pellicola del 1968, quella del sorvolo del pianeta Saturno. Era il 1972. L’idea per i robot di Silent Running, racconta Trumbull, venne da Freaks, il capolavoro “maledetto” di Tod Browning del 1932, in cui c’era un attore, Johnny Eck, che, non avendo le gambe, camminava sulle mani. Furono così selezionate tre persone con gli arti inferiori amputati, il quindicenne Steve Brown, il ventenne Mark Persons e la diciassettenne Cheryl Sparks. In Silent Running Douglas collaborò con il padre Don, un brillante ingegnere che, pochi anni prima della sua nascita, aveva lavorato agli effetti speciali de Il Mago di Oz (1939). Ma Don non amava molto l’industria del cinema, così quando nacque Douglas lavorava già per l’aeronautica. “Silent Running è una favola sulla solitudine e racconta il mio modo di vedere i sentimenti, le relazioni umane, la famiglia, l’amore. Racchiude la mia personalità”, commenta Douglas. Ma è anche una pellicola “convenzionale” sotto ogni aspetto, non avendo nessun elemento tecnologico innovativo perché, per sua stessa ammissione, semplicemente stava imparando come realizzare un film. In ogni caso, il film fu ben accolto dalla critica e molti studi cinematografici cominciarono a contattare Trumbull per pellicole ispirate alle sue idee. Uno di questi film era un’epopea futuristica alla 2001: Odissea nello Spazio, ma in un’ambientazione subacquea. Il film avrebbe dovuto essere prodotto da Arthur P. Jacobs che poco prima aveva avuto un enorme successo con la serie de Il Pianeta delle Scimmie (1968-1973). Jacobs era un produttore dotato di intuito e che amava prendersi dei rischi, ma fu stroncato da una crisi cardiaca all’età di 51 anni e il progetto, di cui deteneva i diritti, andò sepolto con lui.

Poco dopo avvenne l’incontro con George Lucas che era rimasto molto affascinato dai robot di Silent Running e che era in procinto di creare la Industrial Light & Magic, la sua prima casa di effetti speciali. Lucas gli propose di aiutarlo a lavorare agli effetti speciali di Guerre Stellari. Ma impegni pregressi fecero saltare la collaborazione. Tuttavia, Trumbull caldeggiò a Lucas l’idea di avvalersi della consulenza e delle competenze tecniche del team che aveva lavorato con lui in Silent Running e che comprendeva suo padre Don e lo specialista John Dykstra. Le cose andarono esattamente così: “Non mi pento di non avere realizzato gli effetti speciali di Guerre Stellari, trovo che la squadra di Lucas abbia fatto un lavoro eccellente”. Passa qualche anno ed ecco che fa capolino presso gli studi di Trumbull un altro giovane regista: Steven Spielberg. “Quando Spielberg mi chiamo per Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo aveva appena finito di realizzare Lo Squalo, un film che avevo amato molto, ed essendo libero accettai la proposta”. Neppure a dirlo, un successo senza precedenti.

L’origine degli effetti speciali di Blade Runner ha risvolti davvero particolari. Nel 1970 Trumbull era impegnato sul set di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, prodotto e distribuito dalla MGM: era allo studio una scena che prevedeva una rappresentazione della città di Los Angeles in distruzione a causa di bombardamenti massicci. La troupe di Antonioni si muoveva attraverso il deserto del Nevada ed era affiancata dall’equipe degli effetti speciali della MGM. Ad un certo punto il regista ferrarese disse: “Lasciamo perdere, mi accontenterò di far esplodere una casa”. Così, all’improvviso, il suo film cambiò percorso e non comportò più l’utilizzo di queste scene di “apocalisse urbana”. Trumbull si ritrovò, quindi, con molto materiale inutilizzato, ma l’occasione per sfruttarlo capitò una dozzina di anni dopo quando Ridley Scott lo “arruolò” per il suo capolavoro del 1982. In particolare, le fiamme che bruciano sulla sommità delle ciminiere nell’iconica sequenza di apertura – e che si rifrangono nell’iride dell’occhio della prima immagine –  derivano proprio dagli schizzi di Trumbull per Zabriskie Point. Fu organizzata una proiezione speciale affinché Philip K. Dick potesse vedere il risultato finale e lo scrittore ne rimase entusiasta.

Subito dopo le riprese di Silent Running, Trumbull cominciò a studiare per innovare il cinema del futuro e fondò la Future General Corporation, in partenariato con la Paramount Picture, di stanza a Los Angeles: scopo della società era esplorare il futuro dell’intrattenimento. Anche per questo, con il suo team, mise a punto il procedimento “Showscan” che utilizzava cineprese e proiettori speciali progettati per far scorrere una pellicola da 70mm a 60 fotogrammi al secondo. Con questo innovativo sistema Trumbull era desideroso di realizzare un film che avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di fantascienza cinematografica e di special effects. La pellicola in questione è Brainstorm, uscita nel 1983, distribuita in Italia con il titolo Brainstorm – Generazione Elettronica. Nel cast figuravano star del calibro di Natalie Wood, Christopher Walken, Louise Fletcher e Cliff Robertson. Fu estremamente faticoso trovare società di produzione disposte a credere e a scommettere nell’innovativo procedimento creato da Trumbull: il mondo dell’industria cinematografica non parve comprendere la portata dei cambiamenti apportati da Trumbull e mostrò di privilegiare le tecniche utilizzate fino a quel momento, come l’utilizzo del 35mm e i 24 fotogrammi al secondo. Alle difficoltà di ordine tecnico e agli insormontabili ostacoli nel reperire fondi a sufficienza per precipitare su schermo le sue idee, si aggiunse un episodio di cronaca nera che lo scosse profondamente: la morte di Natalie Wood, annegata al largo dell’isola di Santa Catilina il 29 novembre 1981. Uno dei casi più misteriosi e ancora irrisolti della storia del cinema hollywoodiano, a proposito del quale si parò a lungo del presunto triangolo amoroso tra l’attrice, Walken (a quel tempo impegnato con lei nelle riprese di Brainstorm) e il di lei marito, l’attore Robert Wagner. Questo cumulo di esperienze traumatiche e negative convinse Trumbull a ritirarsi per molti anni dalla scena, senza tuttavia rinunciare a lavorare alle sue idee e ad affrontare il radicale cambiamento avvenuto nel frattempo nel mondo delle tecnologie con l’avvento del digitale. “Ho lasciato Los Angeles nel 1987, dopo il disastro Natalie Wood. Temevo per la mia stessa vita, mi trovavo in mezzo al management della MGM e una richiesta di risarcimento fraudolento da 50 milioni di dollari. Era una situazione estremamente caotica, la peggiore che una persona desiderosa di portare a termine il suo film possa mai affrontare dal punto di vista personale e professionale. Una volta finita, mi sono detto che se era così che vanno le cose a Hollywood, mi sarei dedicato ad altro. Avevo volontariamente messo in pausa la mia carriera di regista e fatto altre cose”.

In particolare, il regista ed effettista si dedicò allo studio della struttura delle sale cinematografiche e delle varie tipologie degli schermi, facendo confluire gli esiti delle sue ricerche in una tecnologia innovativa chiamata “MAGI Pod”, che si serve di uno schermo estremamente curvo a struttura emisferica e di un’altissima risoluzione per approfondire il campo visivo degli spettatori, conferendo una straordinaria profondità all’immagine: “La chiave per il futuro del cinema è cambiare la natura delle sale cinematografiche. Uno degli aspetti più importanti è creare dei posti che pongano tutti gli spettatori al centro della visione, rendendola particolarmente confortevole. Una delle esperienze più significative che gli hanno permesso di delineare possibili scenari e stimolanti soluzioni al fine di modificare e innovare la fruizione audiovisiva degli spettatori è stata quella della ideazione di un’attrazione legata alla celebre pellicola Ritorno al Futuro, un esperimento creato per i parchi di divertimento della Universal. The Ride, così si chiamava la creazione di Trumbull, è stata un punto fermo sia di Universal Studios Florida che di Universal Studios Hollywood negli anni Novanta e Duemila. Frotte di visitatori hanno fatto ore e ore di coda per visitare la straordinaria ricostruzione della DeLorean di Doc Brown per una corsa simulata attraverso la Hill Valley del 2015, l’era glaciale e l’alba dei tempi. L’attrazione è stata per anni uno degli intrattenimenti più spettacolari e all’avanguardia degli Universal Studios. Così la racconta Trumbull: Abbiamo dovuto costruire una speciale camera IMAX e un motion-control system. All’epoca, all’inizio degli anni Novanta, non esisteva la IMAX optical printing. Abbiamo dovuto girare tutto in camera coi mezzi del tempo. È stata una lavorazione difficile, abbiamo dovuto ideare queste cineprese IMAX in miniatura così da poterle usare nei set miniaturizzati. Tutti i set sono stati costruiti in scala per adattarsi alle cineprese e viceversa. E ne ero molto orgoglioso. Abbiamo inventato un nuovo linguaggio in modo che il movimento della cinepresa corrispondesse al movimento dei veicolo in cui si trovata il visitatore, così da avere la sensazione di volare, ruotare, accelerare o schiantarsi. E le persone non si sentivano male perché il linguaggio che avevamo creato per loro era davvero sofisticato”. Il progetto ha fruttato ben 2 miliardi di dollari di guadagno dopo sedici anni di permanenza nelle tre location in cui era stata installata: un’avveniristica idea di intrattenimento cinematografico partecipativo, immersivo e stimolante.

Il nuovo prototipo di cinema ideale paventato da Trumbull altro non è che un prefabbricato, una struttura quindi dai costi estremamente contenuti, capace anche di offrire degli spazi di socializzazione esteticamente più attraenti grazie alla struttura sferica che sulla superficie esterna permette di vedere un’anteprima di quanto viene proiettato all’interno e crea dei corridoi tra una sala e l’altra più confortevoli. Le produzioni, inoltre, potranno essere realizzate con un budget sempre più basso grazie all’utilizzo della “produzione virtuale” che sfrutta il green screen per inserire gli attori in qualsiasi ambiente o situazione. Trumbull stesso ce ne mostra un esempio paradigmatico nel corso del documentario: Lightship Transformation, un singolare film fantascientifico girato interamente con due soli attori seduti e che hanno a portata di mano delle leve di controllo, elementi scenografici basilari e necessari a ricostruire l’interno di una nave spaziale. Tutto il resto viene poi inserendo digitalmente, compresi gli spettacolari incontri con gli alieni. Il progetto è stato ideato per dimostrare ai registi e ai responsabili degli studios che esiste un modo nuovo, diverso, economico ed avanzato tecnologicamente per realizzare lungometraggi, e al tempo stesso aumentare i profitti attirando più persone nelle sale. “La tecnologia sta cambiando profondamente i modi di raccontare le storie e si devono sviluppare i contenuti in contemporanea con la tecnologia. In fondo gli effetti speciali sono un po’ come lo spettacolo di magia ai giorni nostri”.

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