Tutti i documentari al Sundance 2011

sundance film festival
Voci di un'America che cambia. Ancora una volta, almeno nell’ambito del documentario, il Sundance si conferma come uno dei pochi territori mediatici dallo spirito davvero libero e democratico. Un cinema che riflette, analizza e denuncia. E' l’America del dissenso, delle minoranze, della voglia di cambiamento. Un continuo incoraggiamento alla partecipazione attiva, alla lotta individuale e collettiva, che fa emergere voci inascoltate e sotterranee.

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Sundance film festivaldi Giuseppe Sorrentino

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John Cooper, direttore del Sundance, lo ha scritto giorni fa sul suo blog: "DOCS are HOT at Sundance"; e sempre di più, verrebbe da dire, vista la creazione di una nuova sezione, Documentary Premieres, che ha lo scopo di dare ulteriore spazio sia ad autori che hanno gia partecipato al festival in precedenza, sia ad opere dai contenuti che richiedono particolari approfondimenti. Con 16 film nella sezione dei documentari americani, 12 nella sezione dei documentari dal mondo ed ancora 9 nella sezione Premieres, quest’anno al Sundance l’offerta di un cinema che riflette, analizza e denuncia è certamente cospicua. Ed è infatti soprattutto l’America del dissenso, delle minoranze, della voglia di cambiamento che trova voce in tutti gli spazi dedicati al documentario. Un continuo incoraggiamento alla partecipazione attiva, alla lotta individuale e collettiva, a far emergere voci inascoltate e sotterranee.

 

the last mountainDa una parte, quindi, una nazione in cui il campo democratico è minacciato dallo strapotere delle corporations, si vedano Hot Coffee di Susan Saladoff, che mette a nudo un sistema giudiziario asservito al capitale e Crime after crime di Yoav Potash, che di quello stesso sistema svela assurdi meccanismi burocratici; dall’altra un popolo che negli angoli più remoti del continente cerca di opporsi all’indifferenza di un sistema economico che non ha per nulla imparato dalle recenti crisi finanziarie. È il caso di Daniel McGowan, attivista dell'Earth Liberation Front (Fronte di liberazione della Terra) che in If a Tree Falls di Marshall Curry viene raccontato come uomo ordinario catapultato in circostanze straordinarie, nel tentativo di fermare crimini contro la natura; o quello di The Last Mountain di Bill Haney, che affronta il tema dello sfruttamento delle montagne per l'estrazione di carbone, in West Virginia e quindi sulla splendida catena degli Appalachi, tema che per coincidenza era già presente nel romanzo dell'anno negli Stati Uniti, Freedom di Jonathan Franzen.  Ma l’attivismo negli Stati Uniti è anche quello di personaggi pubblici come Harry Belafonte che in Sing Your Song di Susanne Rostock, attraverso un'incredibile quantità di materiale d'archivio, fa scoprire la sua epoca, le sue battaglie e la sua mai sopita voglia di partecipazione; un uomo che alla fine del film e dall'alto dei suoi 82 anni, continua a chiedersi e a chiedere: "Cosa facciamo adesso?"
 

ConnectedAd analizzare la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti nel 2007 arriva, dal Regno Unito, David Sington con The Flaw; lo fa attraverso un film che assomiglia più ad un giallo che ad un documentario, utilizzando come narratori economisti, banchieri consulenti finanziari (inevitabile il paragone con Capitalism: A Love Story di Moore) che a turno cercano di scovare il colpevole. L’America contemporanea, però, non è solo quella delle corporation e del capitale, ma soprattutto, quella dei nuovi media e dell’incredibile trasformazione ontologica ad essi legata. Non sono in pochi a soffermarsi sull’argomento in questa edizione del Sundance. Innanzitutto l’orginale e promettente Connected di Tiffany Shlain, acuta ed accessibile riflessione sul mondo contemporaneo e sul nostro modo di interazione con esso, ma anche Miss Representation di Jennifer Siebel Newsom. Quest’ultimo sembra essere una versione meno debordiana e forse più televisiva e popolare del nostro Il corpo delle donne. Cosa molto interessante, però, è che, mentre in Italia, come il documentario della Zanardo dimostrava, ci si trova di fronte ad uno sfruttamento puramente pornografico, negli Stati Uniti si verifica il reiterarsi di dinamiche di genere che dalla famosa feminine mystique di Betty Friedan, continuano a regolamentare l'idea di donna e di femminilità, in un America che non sembra mai riuscire a liberarsi del suo puritanesimo.
 

Morgan SpurlockIl tema della trasformazione dei media e, di conseguenza, della trasformazione delle nostre vite attraverso di essi, ritorna in Page One: A Year Inside the New York Times di Andrew Rossi, che segue da vicino le vicende quotidiane delle firme più autorevoli della più importante testata giornalistica statunitense che ogni giorno sono costretti a confrontarsi con la crisi della carta stampata, ma soprattutto con la presunta difficoltà di veicolare approfondimenti ad attente analisi nel velocissimo mondo del web. Anche Morgan Spurlock si dedica all’argomento, ritornando, grazie alla sezione Doc Premieres, con le sue divertenti trovate. L'autore di Super Size Me questa volta si dedica ad analizzare le dinamiche del marketing e della pubblicità applicate al cinema, riflettendo sul ruolo che l'immagine e la vendita di un prodotto hanno nelle nostra esperienza quotidiana. The Greatest Movie Ever Sold  (il più grande film che sia mai stato venduto) si configura come meta-marketing e cioè come la vendita di un film all'interno dello stesso film, e prefigura un futuro (che è già presente) in cui tutto ciò che viviamo è prodotto in vendita.
 

the black power mixtapeIl Documentario, come imprescindibile fonte storica dalla quale ricavare analisi, sviluppare commenti, costruire probabili futuri, questa volta si presenta attraverso il riemergere, dopo più di trenta anni di oblio, di filmati che coprono un periodo cruciale per la storia degli Stati Uniti, 1967-1975. In concorso nella categoria documentari dal mondo, The Black Power Mixtape  di Goran Hugo Olsson si presenta come un mosaico di immagini, musica e narrazione che racconta l'evoluzione del movimento nero, accompagnando il materiale d'archivio (opera di giornalisti svedesi che in quegli anni attraversarono l'atlantico per documentare la storia) con i commenti di artisti ed intellettuali del presente. Altro documento storico è Magic Trip di Alex Gibney e Alison Ellwood, nel quale il “viaggio magico” è quello di Ken Kesey che nel 1964 decise di fare una mitica escursione lungo gli Stati Uniti, dalla costa Ovest a quella Est. L'esatto contrario di quello fatto da Jack Keruac, ma con lo stesso amico, Neal Cassady. Il viaggio, all'insegna di LSD, musica e psichedelia, è un montaggio dei filmati fatti da Kesey, le registrazioni audio e le fotografie, creando un’immersione cinematografica che promette di ripetere l'esperienza lisergica di quegli anni.
 

the green waveDavid Weissman, alla sua seconda apparizione al Sundance (suo l'interessante The Cockettes presentato nel 2002) decide di parlare di una comunità colpita da una tragedia e dalle conseguenze che essa ha avuto nelle vite di coloro che ad essa sono sopravvissuti. La comunità è la stessa raccontata splendidamente in Milk da Gus Van Zandt e Sean Penn, la città è San Francisco e gli anni sono i '70. La tragedia è quella dell'AIDS e We Were Here, questo il titolo del film di Weissman, racconta attraverso cinque testimoni di quell'epoca, un'esperienza universale, quella della nostra compassione e forza nei momenti di avversità. Tra le storie "politiche" più interessanti che verranno raccontate quest'anno al Sundance, bisogna senz'altro sottolineare quella di The Green Wave, l'onda verde che in Iran nel 2009 mostrò al mondo intero uno spietato e finto ordinamento costituzionale che permise ad Ahmadinejad di continuare indisturbato un governo crudele. Il film di Ali Samadi Ahadi, in concorso nella World Cinema Documentary Competition, oltre ad utilizzare interviste, materiale televisivo e blog su internet, si avvale di animazioni sospese e malinconiche che donano poesia al racconto.
 

hell and back againHell and Back Again di Danfung Dennis rischia di essere uno dei più accurati e coraggiosi documentari mai realizzati sui mali della guerra. In esso si racconta la storia di Nathan Harris, venticinquenne sergente dei marines nell'operazione militare a del 2009 in Afghanistan: una trappola militare che avrà conseguenze disastrose sui soldati che vi parteciparono e soprattutto per Harris. L'inferno che è costretto a vivere, infatti, non è solo quello della guerra contro i talebani, ma anche quello della sua casa in North Carolina dove combatte una guerra quotidiana per recuperare la sua salute mentale e fisica e salvare il matrimonio con sua moglie Ashley. The Redemption of General Butt Naked  va oltre l'esigenza di documentare, offrendoci una trama di natura shakespeariana, che bene avrebbe figurato nella filmografia di un Coppola anni '70: la storia di Joshua Milton Blahyi (il generale dal culo nudo del titolo), cruento assassino che ha seminato morte durante la guerra civile liberiana e che adesso cerca di redimersi come predicatore evangelista. Un ciarlatano, un pazzo, un bugiardo o davvero un uomo alla ricerca di perdono? È proprio grazie a questa domanda che Eric Strauss e Daniele Anastasion mantengono vivo il loro cinema verità, un viaggio che si sviluppa attraverso cinque anni della vicenda umana di Blahyi, sfidando le nozioni di male, giustizia e fede.
 

An african electionRaccontare un'elezione come se fosse un thriller è quello che fa Jarret Merz in An African Election, seguendo le elezioni presidenziali del 2008 in Ghana, e lo fa anche affrontando – non direttamente – il tema della precarietà della democrazia nel mondo contemporaneo, in un paese appunto dove la linea separatrice fra "normalità" governativa e dittatura militare è davvero labile.      Il comunismo sembra essere piuttosto vivo nella complessa figura, a volte amorevole e protettiva, a volte poco aperta ed accentratrice, di Olga Nenya, donna ukraina che si occupa di 23 orfani in un piccolo villaggio, educandoli più al bene collettivo che alle libertà individuali. La loro storia è raccontata in Family Portrait in Black and White di Julia Ivanova, toccante documentario sui concetti di "famiglia" e "nazione". Originalità antropologiche, solo così si possono definire quelle che Ian Palmer decide di documentare in Knuckle, in cui si parla dei Travellers, un clan nomade distribuito in Irlanda ed in alcune zone dell'Inghilterra che ha l'abitudine di risolvere qualsiasi contesa o discussione a suon di pugni. Palmer ha seguito le animose lotte tra due famiglie rivali per dodici anni, offrendoci la possibilità di accedere ad una cruda e violenta realtà senza inutili intermediazioni. In How to Die in Oregon di Peter D. Richardson si ragiona di morte e di tecniche assistite. Negli Stati Uniti del 1994, l'Oregon fu infatti il primo stato a legalizzare l'eutanasia assistita da medici nel caso venisse diagnosticata l'impossibilità di sopravvivere oltre i 6 mesi.
 

GRANITOIl ritorno più atteso al festival, di grande importanza storica, è quello di Pamela Yates che, a distanza di 25 anni da When the Mountains Tremble, riporta i riflettori in Guatemala, in occasione del processo a Efrain Rios Montt, il generale colpevole dello sterminio dei Maya e ritrova Rigoberta Menchù, l'attivista premio-nobel che era al centro del suo primo film. In Granito, che comunque porta dentro di sé come un seme, l'esperienza di tanti anni fa (il primo film della Yates è utilizzato come prova in sede processuale), il ritorno in Guatemala assume un forte valore simbolico, in un momento in cui la ricerca per la verità non è giunta a conclusione e ognuno è chiamato a contribuire con il suo piccolo granello di sabbia (da qui il titolo del film). Anche James Marsh ritorna al Sundance e, dopo Man on Wire, ci regala un'altra storia degli anni '70, quella di Nim, lo scimpanzé che fu oggetto di un importantissimo esperimento scientifico volto a dimostrare la possibilità di educare una scimmia come un qualsiasi essere umano. Project Nim fa molta attenzione però a raccontarci più la prospettiva dell'animale e del suo viaggio all'interno della società umana, permettendoci di capire, attraverso la sua vera natura, il nostro rapporto con la differenza, ma anche con la perturbante somiglianza, dell'altro.
 

position among starsLeonard Retel Helmrich chiude la sua trilogia dedicata all'Indonesia con Position Among Stars (dei due film che lo precedono, Shape of the Moon era già stato presentato al Sundance ed aveva vinto il premio della giuria nella sezione World Cinema Documentary), film che continua il trionfo di cinema verità che caratterizza lo stile di questo autore. Concentrandosi su profondi conflitti generazionali all'interno di una povera famiglia di Jakarta, Helmrich riesce, attraverso interviste e voce narrante, a costruire un ricco mosaico sull'Indonesia contemporanea, soprattutto in quanto paese in via di sviluppo che subisce la globalizzazione piuttosto che parteciparvi. Strana la storia di "una disavventura audio", come recita il sottotitolo di Shut Up Little Man!, il film australiano di Matthew Bate che parla di privacy, sfruttamento, arte e anche in questo caso, dell'incontro con l'altro. Nel 1987 due punk del midwest, Eddie e Mitch, vanno a vivere a San Francisco, dove, come vicini di appartamento si ritrovano due alcolizzati, Raymond Huffman, omofobo, Peter Haskett, omosessuale. Eddie e Mitch sono costretti ad ascoltare i quotidiani e violenti alterchi tra i due coinquilini, che decidono poi di registrare segretamente vendendo i nastri. Altra leggenda è quella che insegue John Foy in Resurrect Dead: The Mystery of the Toynbee Tiles, che cerca di ricostruire la storia della scritta "Toynbee" che, agli inizi degli anni '80, comparve sull'asfalto cittadino di New York, Philadelphia, ma anche Santiago e Buenos Aires. Il protagonista del documentario è il giovane artista John Duerr che, affascinato da questo enigma, ha cominciato ad investigare sull'origine di queste scritte, confrontandosi di volta in volta con sorprendenti coincidenze: dall'articolo di un giornale ad un'opera di David Mamet, ad un'organizzazione che promuove la colonizzazione di Giove.
 

bengali detectiveLe storie dei documentari sono anche quelle insolite ed originali di uomini che inseguono i loro sogni attraverso destini professionali piuttosto inusuali. È il caso dell'uomo dietro Elmo, il personaggio dei Muppets raccontato in Being Elmo di Costance Marks o quello di Buck Brannaman, il vero "uomo che sussurrava   ai cavalli", (strana coincidenza il vederlo raccontato al festival voluto dall'attore che questo personaggio ha interpretato nella finzione) in Buck di Cindy Meehl. Altro uomo "insolito" è sicuramente Rajesh Ji, l'investigatore privato indiano protagonista di The Bengali Detective, il divertente documentario di Philip Cox che affronta la personalità eclettica di Rajesh, utilizzando come sfondo una postmoderna Calcutta fatta di funzionari di polizia corrotti ed improbabili spettacoli televisivi. Viene finalmente reso omaggio ad Ayrton Senna, il grande mito della Formula 1, ed alla sua vita dai risvolti quasi letterari. Lo fa il regista inglese Asif Kapadia in Senna, raccontando la storia di un puro in un mondo di accordi sottobanco e cinismo, la storia di un brasiliano, dallo spirito vagamente terzomondista, in un mondo sportivo quasi unicamente "europeo".
 

Bobby Fischer against the worldDella sezione Doc Premiere ci sembra giusto sottolineare Becoming Chaz, che è la storia di Chaz Bono, la figlia di Sonny and Cher che si riscopre uomo e decide di rendere publica la sua trasformazione con la regia di Fenton Bailey and Randy Barbato, gli autori del popolarissimo Inside Deep Throat;  Bobby Fischer Against the World, nel quale Liz Garbus racconta la vita bizzarra e difficile di uno dei più grandi scacchisti viventi, costruendo un ritratto tra genio e follia, sul ruolo pubblico che egli ha avuto negli anni della guerra fredda; The Interrupters di Steve James, dove ex-membri di bande di strade di Chicago, abbandonano la loro vita violenta ed attivamente cercano redimere controversie prima che si trasformino in guerre; Reagan di Eugene Jarecki, un'analisi quasi shakespeareana sulla vita e l'influenza di uno dei politici più contraddittori della storia americana.   Mentre l'America piange la tragedia in Arizona, ecco arrivare un film che della maniera di sopravvivere alla tragedia più forte che ha mai colpito gli Stati Uniti, l'11 settembre, fa toccante poesia, catarsi collettiva. Rebirth di Jim Withaker è una cronaca delle vite di cinque persone profondamente toccate dagli attacchi alle torri gemelle: uno studente che ha perso la madre, la vedova di uno dei primi soccorritori, una sopravvissuta, un uomo che si occupa della costruzione di Ground Zero ed un vigile del fuoco che ha perso i suoi più cari amici.
 

In questa moltitudine di emozioni, temi, lotte e parole che il Sundance ospita per la promettente edizione del 2011, è possibile riscontrare una forte tendenza all’investigare quelli che sono gli spazi più nascosti dell’America contemporeanea. Le voci di un cambiamento che va oltre la politica e le forti divisioni che caratterizzano il paese; sono gli angoli più remoti del continente ad assere raccontati, le idee più radicali e rivoluzionarie. Lo stesso può essere detto dei film che provengono dalle altre parti del mondo: laddove essi non si occupano degli Stati Uniti, riescono a raccontare storie di conflitti generazionali e sociali, che assumono facilmente un valore universale. Ancora una volta la voglia è quella di vedere il mondo attraverso una prospettiva altra. Ancora una volta, almeno nell’ambito del documentario, il Sundance si conferma come uno dei pochi territori mediatici dallo spirito davvero libero e democratico.

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