Tutto quello che vuoi, di Francesco Bruni

Come il Moretti di Mia Madre o il Virzì de La prima cosa bella, Bruni con Tutto quello che vuoi usa il proprio dolore per realizzare del Cinema che diventa subito Condivisione. Con GIuliano Montaldo

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Siamo sinceri. Di fronte alla prima scena di Tutto quello che vuoi, messi a contatto con le conversazioni irritanti di quattro odierni vitelloni, arroganti nei loro vent’anni, eravamo pronti ad aspettarci il peggio. La prima parte del nuovo film di Francesco Bruni, arrivato alla sua terza regia, infatti, può facilmente creare più di un problema allo spettatore frettoloso, quello ormai esausto dalla ripetitività (concettuale prima che narrativa) della commedia perbenista italiana. L’introduzione dello sfaccendato Alessandro, e dei suoi tre terribili amici, non è altro che la rappresentazione, per quanto più verosimile del solito, di una gioventù romana sorniona e disperata, impegnata a fumare spinelli, imprecare e vivere alla giornata. L’ambientazione trasteverina, poi, tra un elogio ai ragazzi del Cinema America e uno sguardo ai vicoli di una Città attuale solo nell’universo parallelo della fiction, aggiunge al film una parvenza di meccanicamente costruito, di storia dal respiro terribilmente corto. Bruni, nome chiave della narrativa cinematografica degli ultimi vent’anni, sembra quasi essere cascato nella pericolosa trappola autoriale, l’inganno del regista convinto di sapere fotografare lo spirito e le angosce delle generazioni più giovani, quel tanto agognato pubblico ventenne, meglio di tutti gli altri.

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Quando il film arriva quasi ad ancorarsi ai binari del prevedibile più scontato, ecco però che Bruni, da scrittore attento qual è, svela il suo gioco (la chiara presa in giro dei nostri pregiudizi e delle nostre attese impazienti) e rivela la vera natura del giovane protagonista e della sua storia. La miccia che fa esplodere la pellicola, proiettando una vicenda garbata, costruita sui riconoscibili meccanismi della strana coppia intergenerazionale, nella dimensione travolgente del racconto personale, è dunque l’arrivo dirompente del vecchio poeta Giorgio. Nell’istante in cui entra in scena il personaggio di Giuliano Montaldo, infatti, Tutto quello che vuoi perde il vestito fin troppo perfetto del genere e diventa qualcosa di avvolgente, commovente, spiazzante. La genuinità spigolosa di Andrea Carpenzano (in una prova che ricorda incredibilmente il Mastandrea degli esordi) e l’incredibile umanità di Montaldo (che raggiunge l’autenticità dei non professionisti) si sposano perfette e trascinano il pubblico in una storia che, pur personale (dei personaggi e del suo regista), si conferma, scena dopo scena, universale. L’allegra sofferenza e lo strazio lieve dell’avventura affettuosa di un “nonno” e un “nipote”, di un grande uomo senza memoria e del suo giovane compagno senza prospettive, sono sentimenti immediati, irresistibili. Come il Moretti di Mia Madre o il Virzì de La prima cosa bella, Bruni usa il proprio dolore per realizzare del Cinema che diventa subito Condivisione.  Il crescendo emotivo di Tutto quello che vuoi, arricchito da intuizioni visive fortissime (i ricordi confusi di Giorgio che si materializzano, lo studio con le poesie incise nei muri, come nelle celle del carcere di Via Tasso), non può che concludersi in un piccolo finale ideale, dove ancora una volta parole come Memoria e Poesia (bellissimi i versi scritti per il film da Simone Lenzi dei Virginiana Miller) si confermano temi decisivi, senza mai il bisogno di sottolinearli ossessivamente.

Regia: Francesco Bruni
Interpreti: Giuliano Montaldo, Andrea Carpenzano, Donatella Finocchiaro, Emanuele Propizio, Antonio Gerardi, Raffaella Lebboroni, Arturo Bruni, Andrea Lehotska, Carolina Pavone
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 106′

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