"Ubriaco d'amore", di Paul Thomas Anderson

La regia di Anderson sceglie il corpo come perno dello sguardo, inquadrature fisse di spalle, riprese a mano addosso ai visi, piani d'ascolto che non sono solo prove d'attore, ma una fondamentale scelta narrativa
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Comincia tutto da un angolo blu. Con una di quelle telefonate che legano il cittadino a voci sconosciute e impostate. La scelta di Barry è una specie di resistenza umana, pretende logica, pretende che si risponda alle domande e laddove il telefono non arriva, lui scardina i fili e si presenta di persona. Il primo film da molti anni in cui non si vede un cellulare, solo vecchie e ingombranti cornette del telefono, cordless e cabine pubbliche. Barry resiste, i calcoli sulle offerte al supermercato non sono una mania, ma quasi un'eroica ricerca di buchi in cui fregare il sistema, quel sistema che si ripara dietro i telefoni, dietro i cartelli (attenzione telecamere nascoste, merce in saldo, per reclami rivolgersi a). Il miglior futuro possibile è offerto da un maxi acquisto di budino.

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E poi, all'improvviso, tutto in questo film accade all'improvviso, due serrande e la notte, due serrande dalla strada, dalla storia, come un sipario. La colonna sonora del film è una sinfonia, ogni personaggio ha un suono, una melodia che lo anticipa o lo segue. I rumori sono anche colori, scientificamente, e la parte grafica del film è senz'altro una partitura, prima di essere una cesura emotiva, un passaggio temporale. La notte, la strada, e un incidente, prima di tutto il rumore dell'incidente. Il rumore è un incidente. Arriva fragoroso, amplificato, sempre dopo il silenzio, a spaccare i timpani dello spettatore, a scuoterlo dalla sedia per toglierlo dalla sua posizione passiva, come se lo schermo potesse squarciarsi.

L'harmonium abbandonato sulla strada di notte, di corsa, da qualcuno di misterioso, è come la pioggia di rane in Magnolia. E resterà così per tutto il film, sempre presente, fino al finale, senza spiegazione, ma come un punto di vista estraniato dal reale. 

Il vestito di Berry è un angolo blu. Barry mette in angolo il suo corpo da sette invadenti saccenti sorelle, impossibile sopravvivere a sette sorelle, splendidamente tracciate con brevi tratti di sceneggiatura, non solo è costretto a crescere in mezzo a sette sorelle, che non può picchiare, contraddire, allora certo che "va in escandescenza". Ma anche deve costantemente confrontarsi con un'etichetta, di quelle che mettono addosso da bambino, e ci restano per tutta la vita, la storia del martello e della cuccia del cane che continuano a raccontare, e lui vorrebbe tornare indietro, richiudere la porta, perché la stanno raccontando ancora. Barry rompe una vetrata, e non è ancora sufficiente. La casa delle sorelle rimane schiacciata nell'inquadratura di una credenza con il servizio di porcellana. Rompere il vetro, il bagno di un ristorante, non sono solo lo sfogo inevitabile di un represso, sono il corpo che richiede un rapporto diretto col mondo. Fare l'amore è anche rompersi, ti mangerei e ti spaccherei la faccia, si dicono Berry e Lena. E solo con l'amore forse quella forza invincibile diventa la forza di scegliere il proprio posto.

La regia di Anderson sceglie il corpo come perno dello sguardo, inquadrature fisse di spalle, riprese a mano addosso ai visi, piani d'ascolto che non sono solo prove d'attore, ma una fondamentale scelta narrativa, perché noi spettatori, che guardiamo Barry ascoltare, siamo dalla parte del mondo corresponsabile del male.

Lo spazio della nostra giornata è un supermercato, non solo nel senso che attraversiamo continuamente supermercati e grandi magazzini, ma nel senso anche che tutto è un'offerta speciale, una raccolta punti, una carta di credito, un'etichetta colorata. Il primo film da molti anni in cui non si vede qualcuno mangiare, l'unico cibo non incartato è una torta che sembra comunque di plastica. Le sorelle annunciano in pompa magna una cena, ma finiscono col litigare, Lena invita a cena Barry ma vengono cacciati dal ristorante, e quando riescono a incontrarsi e romanticamente cenare in un luogo esotico, finiscono col fare l'amore. Il pasto non è più luogo d'incontro per persone felici, ma un pretesto d'incontro per persone assuefatte.

La sexy telefonata da cui parte il conflitto della storia, è un capolavoro, una prova d'attore magistrale, inizia con un leggero spostamento di macchina sul tavolo che dall'altra parte rivela il vuoto. Il buco del sistema da una parte, e il buco della vita dall'altra. L'amore che non c'è, che non c'è mai stato, ha scavato un buco sempre più profondo. Ma non è solo di Barry il problema, ci sono trasmissioni televisive su coppie che si mettono alla prova, e trasmissioni radiofoniche in cui il dj si fa chiamare giustiziere. Continua a costruirsi il palinsesto di Anderson, con i quiz crudeli di Magnolia e i film porno di Boogie Nights.

Barry cammina all'indietro, cammina spingendo il corpo in avanti, cammina di corsa, oppure lieve come un'ombra. E poi, all'improvviso, ancora, un pugno, un rumore. La prima cosa che Barry chiede salendo sull'aereo "che rumore era?". Le Hawaii sono un'offerta speciale. Il primo film da molti anni in cui delle Hawaii non si vede la spiaggia, se non quella nello sfondo durante l'ennesima mancata cena, che non ha niente di diverso da una cartellone pubblicitario, e infatti Barry dice che "sembra proprio di stare alle Hawaii".

L'angolo è blu, il vestito è blu. Ma il viaggio è rosso, il camion, il vestito delle hostess, e il vestito di Lena la prima sera, il primo bacio, sono rossi. Invece, in quei palazzi labirinto in cui viviamo, palazzi fatti solo di porte in fila e corridoi, in quei capannoni in cui lavoriamo, tutti muri e vetri, c'è tantissimo bianco. I muri delle nostre paure, delle nostre chiusure, del nostro non volere non sapere non potere sono bianchi, tante inquadrature strisciate di bianco, prima del buio. L'amore è raccontato in controluce, il corpo è una figura da proteggere, l'amore sta dietro tutto quel bianco luce invadente. L'amore è quasi un disegno che si stacca dalle etichette del supermercato. "Per favore, aspetta solo sette, otto settimane, in modo che io riscatti il budino, poi vengo con te in tutti i viaggi che farai."

 

 

Titolo originale: Punch-Drunk Love
Regia: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Fotografia: Robert Elswit
Montaggio: Leslie Jones
Musica: Jon Brion
Scenografia: william Arnold
Costumi: Mark Bridges
Interpreti: Adam Sandler (Barry Egan), Emily Watson (Lena Leonard), Philip Seymour Hoffman (Dean Trumbell), Luis Guzman (Lance), Rico Bueno (Rico), Hazel Mailloux (Rhonda), Julie Hermelin (Kathleen), Salvador Curiel (Sal), Jorge Barahona (Jorge), Ernesto Quintero (Ernesto)
Produzione: Paul Thomas Anderson, Daniel Lupi, Joanne Sellar per Ghoulardi Film Company/New line Cinema/Revolution Studios
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 95'
Origine: Usa, 2002

 

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