Un americano a Parigi, di Vincente Minnelli
Adattamento dell’omonimo poema sinfonico, ispirato a George Gershwin, esempio lieve di metacinema, ingenua, contagiosa, spensierata e sgargiante joie de vivre.
Metti insieme il migliore Gershwin, Gene Kelly ovvero il “corpo” più denso e materico del nuovo musical hollywoodiano (laddove l’altro grande ballerino del genere, Fred Astaire, giocava sull’effetto di assenza (di) più che di contrasto con la forza di gravità) e le scenografie impressioniste di una Parigi da cartolina – con profumo obbligato di brioche nella colazione iniziale ed esplicito omaggio a Toulouse-Lautrec nell’ultima sofisticata coreografia di Stanley Donen – e sei nel favoloso mondo di Un americano a Parigi. Il pluripremiato capolavoro di Vincente Minnelli adatta per il grande schermo l’omonimo poema sinfonico, ispirato a George Gershwin da un suo viaggio nella capitale francese degli Anni Venti, e traghetta oltre le convenzioni del musical alla Berkeley una tradizione, di radice teatrale ed europea, che – come il western per il cinema – rappresenta forse il genere (e il gusto) “per eccellenza” dello spettacolo americano.
Danze e musiche non sono qui semplicemente giustapposte secondo la rigida alternanza del genere, ma equiparate alle parti più prettamente narrative in funzione dello svolgimento dell’azione: l’esito – superato nella storia del musical solo da Singin’ in the Rain (realizzato l’anno dopo dallo stesso gruppo produttivo al completo ad accezione del regista) – è un vero e proprio film musicale, con canzoni (per voce dello stesso Kelly e del noto chansonnier Georges Guétary) e danze di altissimo livello diventate cult.
Innovazione formale, tralasciando i contenuti che non potevano che ricalcare ancora quelli della commedia leggera degli anni di Roosevelt. Protagonista il piccolo mondo bohémien di tre giovani amici: un pittore di strada che espone i suoi quadri a Montparnasse senza riuscire a venderli (Jerry/Kelly), un geniale “musicista da concerto che non ha mai fatto un concerto” (Oscar Levant) e un cantante di teatro artisticamente più fortunato (Georges Guétary). A complicare le cose la graziosa commessa di un negozio di profumi (Lisa/Leslie Caron) in punto di nozze col cantante ma di cui si innamora il pittore Kelly, finanziato intanto da una matura e ambigua mecenate (Nina Foch). Perché quella di Un americano a Parigi in fondo è, e doveva essere, una classica storia da operetta – con tanto di amore contrastato, equivoci e happy end – capace tuttavia di restituire nel cinema i rumori di strada della rapsodia di Gershwin, rendendo ancora più popolare il mondo sostanzialmente aristocratico del primo musical: indimenticabile il balletto di Kelly i tra bambini sui marciapiedi di Parigi (I Got Rhythm).
Città ovviamente ricostruita. Come le sgargianti scenografie (i rosso e i blu Minnelli citati da Coppola e Scorsese) che ora bucano l’intimità di una soffitta qualunque di Parigi (col gioco reiterato della cinecamera a sbagliar finestra e sottolinearne appunto la spensierata normalità), ora riprendono, ingigantendoli, gli scorci di Kelly pittore, ora inquadrano il paesaggio parigino dentro rimandi estetici a Van Gogh, Monet e Renoir. Perché questo è anche, sebbene in maniera meno esplicita di Singin’ in the rain, un esempio lieve (e ironico) di meta-cinema sia in ragione del dna stesso del musical, forma teatrale diventata cinema, sia perché tutti i protagonisti principali concorrono al gioco delle scatole (d’arte) cinesi: così il musicista talentuoso che si esibisce solo in sogno (esplicitando il divario tra il successo onirico e la deludente realtà, a sua volta simulata nella finzione filmica), così il musical (in stile Wanda Osiris) dell’unico amico artisticamente soddisfatto (musical nel musical), così infine la pittura (di Jerry/Kelly) dentro la pittura del set (fino all’identificazione funzionale alla danza). Nulla di impegnato tuttavia per il pubblico americano degli anni post-bellici : solo ingenua, contagiosa, spensierata e sgargiante joie de vivre.
Titolo originale: An American in Paris
Regia: Vincente Minnelli
Interpreti: Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Nina Foch
Distribuzione: Cinema
Origine: Usa, 1951
Durata: 112′