"Un boss sotto stress" di Harold Ramis
E' un cinema che non si stanca di rimettersi in gioco quello di Ramis, giocando soprattutto con un uso spudorato e geniale dei corpi dei due protagonisti, spingendo sull'acceleratore del non-sense demenziale, liberando la visione da ogni detrito scritto, riempendola di appunti onirici, fantastici, ironici che spazzano via ogni idea precisa di set
Quello di Ramis è un cinema che torna continuamente sui suoi passi, in preda forse ad un nostalgico sentimento di perdita che registra dall'ormai lontano Ghostbusters, uno degli esperimenti classicisti (centrifugati però da una notevole deriva modernista) più azzeccati degli anni '80. Ma non è soltanto un nostalgico, Ramis. E' anche uno degli autori più politici di oggi, insieme a Ron Howard uno di quelli che insistono di più sul genere, caricandolo a mille, omaggiandolo in ogni sua forma, senza procedere mai a nessun tipo di superamento. Ramis arriva laddove il classico termina, ma non per oltrepassarlo con strizzatine d'occhio cinefile. Il suo è cinema puro, rimescolamento impazzito di tutte le carte in tavola e soprattutto, come già abbiamo accennato, ritorno sistematico sui propri passi. Facile pensare allora alle alchimie temporali di Ricomincio da capo (forse la sua opera più teorica), e ai ritmi forsennati di Indiavolato, ma non è tutto. Quando si tratta di filmare il corpo, Ramis, seguendo la scia della filosofia de-costruzionista sia pur mutata di segno dei Farrelly, svolge un interessante lavoro: trapianta su forme corporee attuali una linea di manipolazione visiva che li stravolge, riadattandoli ad una forma di temporalità del tutto sfalsata, passata all'attento setaccio di un filtro assolutamente delirante. E' quello che peraltro accade in questo Un boss sotto stress, esperimento suggestivo e sbilanciato quanto basta su come raccontare/sfare il remake dell'opera precedente, dicendo della classicità impossibile di oggi attraverso l'azzeramento di ogni costante scritta, e il rilancio vertiginoso di un'idea di cinema esperita appunto come forma su cui modellare un testo (benchè quasi inesistente). In Terapia e pallottole si seguiva l'incontro/scontro tra lo psicologo di turno (interpretato da Cristal) e Paul Vitti (un eccezionale Robert De Niro), un potente boss italoamericano in preda ad un tremendo esaurimento nervoso, che perseguitava il povero psicologo, mandandogli a monte la vita privata. Se l'opera precedente si chiudeva con l'arresto di Vitti a Sing Sing, questa di oggi ricomincia proprio da questo punto, tracciando un orizzonte di continuità spaziale e temporale rispetto alla precedente, con la novità che Vitti esce fuori dal carcere, fingendo di essere diventato improvvisamente pazzo. Ed è proprio la pazzia, la mancanza di controllo, lo sgretolarsi di ogni logica del racconto che Ramis innesta in questa prima parte, filmando liberamente ed accumulando porzioni di spazio che si trasfigurano improvvisamente in qualcos'altro (De Niro che ri-configura con i soli movimenti del corpo la stanza in cui è osservato, mentre si agita snocciolando tutto il repertorio musicale di West Side Story) e che si collocano nel tempo mutante della messinscena quali indizi di senso sballati, oppure improvvisamente calati in un contesto di proporzioni quasi surrealiste (lo sguardo finto-catatonico di De Niro che simula improvvise sospensioni della propria attività cerebrale). D'altronde Ramis a questo punto non sa più che farsene della sceneggiatura, non fa che ricalcare le orme del film precedente, aggiungendo o togliendo di volta in volta qualcosa, e giocando soprattutto con un uso assolutamente spudorato e geniale dei corpi dei due protagonisti che, spingendo sull'acceleratore del non-sense demenziale, liberano la visione da ogni detrito scritto, riempendola di appunti onirici, fantastici, ironici che spazzano via ogni idea precisa di set e la proiettano sul corpo mutante di una latitudine imprecisata (basti pensare alla sequenza finale in cui Ramis ci regala una delle immagini-tempo più belle del suo cinema, con Paul Vitti da piccolo in sella ad un cavallo). E' un cinema che non si stanca di rimettersi in gioco quello di Ramis, come il sublime De Niro, capace di fare cinema con un solo battito di ciglia.
Titolo originale: Analize That
Regia: Harold Ramis
Sceneggiatura: Peter Tolan, Harold Ramis, Peter Steinfeld
Fotografia: Ellen Kuras
Montaggio: Andrew Mondshein
Musica: David Holmes
Scenografie:Wynn Thomas
Costumi: Aude Bronson-Howard
Interpreti: Paul Vitti (Robert De Niro),Ben Sobel (Billy Cristal), Lisa Kudrow (Laura Sobel), Joe Viterelli (Jelly), Cathy Moriarty-Gentile (Patty LoPresti), Kyle Sabihy (Micheal Sobel), Rebecca Schull (madre di Ben), John Finn (Richard Chapin), David Fonteno (Davis), Firdous Bamji (Dr. Kassam), James Biberi (Agente Miller), Callie Thorne (Agente Cerrone), Donnamerie Recco (Sheila)
Produzione: Jane Rosenthal, Paula Weinstein per Baltimore Spring Creek Productions/ Tribeca Productions/ Face Productions/NPV Entertainment/ Village Roadshow Productions
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 94'
Origine: USA, 2002