"Un enorme abuso di potere" – Pedro Almodovar presenta "La pelle che abito" a Roma


“Il film parla di un enorme abuso di potere, quindi ho dovuto estremizzare ogni elemento, altrimenti non si sarebbe percepito alcun abuso. A resistere a questo abuso di potere c'è questo enorme istinto di sopravvivenza del personaggio interpretato da Elena. Principalmente, il tema che m'interessava trattare era l'identità, perché resta l'unico elemento dell'essere umano che la scienza non è riuscita ancora a penetrare.”
  Pedro Almodovar presenta La pelle che abito a Roma

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Prima che la chirurgia plastica diventasse l'argomento-principe della conferenza stampa, con evidente provocatorio divertimento del cineasta (“In Spagna si dice che il viso è lo specchio dell'anima, un proverbio che non ha più valore dato che al giorno d'oggi la chirurgia plastica può modificare un viso nella maniera più totale, anche nel colore della pelle. Io credo che entro la fine di questo secolo la cultura religiosa della creazione divina entrerà in concorrenza con i progressi della creazione umana e scientifica”), Pedro Almodòvar, Antonio Banderas e Elena Anaya erano stati accolti alla conferenza stampa romana di presentazione de La pelle che abito, in uscita questo weekend nelle sale italiane dopo il passaggio in Concorso all'ultima Cannes 64, da un'atmosfera particolarmente rigida e fredda: il film non sembra infatti aver convinto i giornalisti presenti all'incontro, e non si capisce se la domanda sul presunto riferimento che il film fa a Un borghese piccolo piccolo sia un complimento o una provocazione (ad ogni modo Almodòvar risponde di non aver mai visto il film di Monicelli, e di essersi altresì ispirato ai classici di Hitchcock, a Frankenstein e a Occhi senza volto di Franju).

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Per fortuna, Antonio Banderas è in gran spolvero, e si lancia in un emozionato ricordo degli anni di amicizia e sodalizio professionale con il regista: “Senza dubbio, girare sei film con Pedro è stato uno dei regali che mi ha fatto la vita. Pedro non è mai stato alle regole del gioco, neanche oggi che magari si è normalizzato dal punto di vista registico, più minimalista nella forma, più pulito e profondo nei contenuti. Certo Volver e Donne sull'orlo di una crisi di nervi oggi sembrano pellicole mainstream, ma in altri film come La legge del desiderio o Légami Pedro ha continuato a  sporcarsi le mani.”

Forse Almodòvar mangia un po' la foglia (“In ogni caso, visto la gente mi ferma per strada e mi chiede di tornare a fare una commedia, uno dei due miei progetti per il futuro più a breve termine credo che lo sarà"), ma sicuramente ha tutta la voglia di difendere la strada intrapresa con La pelle che abito: “Il film parla di un enorme abuso di potere, quindi ho dovuto estremizzare ogni elemento, altrimenti non si sarebbe percepito alcun abuso. Muovendomi su questo terreno, ho cercato un tono che, più che freddo, definirei austero e sobrio, anche nel tentativo di non scadere nello splatter e nel gore. A resistere a questo abuso di potere c'è questo enorme istinto di sopravvivenza del personaggio interpretato da Elena. Principalmente, il tema che m'interessava trattare era l'identità, perché resta l'unico elemento dell'essere umano che la scienza non è riuscita ancora a penetrare.”

Tutto questo, sottolinea il cineasta, senza “rispettare assolutamente le regole del genere”: “Sono soprattutto il responsabile della narrazione, anche quando sembra che io detenga il potere di tutte le fasi della lavorazione del film e accumuli tutto il potere su di me. Non mi sento un essere onnipotente e mi sottopongo alle regole del Deseo, la casa di produzione. Ma spettano totalmente a me le decisioni relative al tono del film e della storia da raccontare, lo stile delle immagini, della musica, e anche dello spagnolo che voglio sentire, perché esistono diverse declinazioni di questa lingua, e per ogni storia bisogna scegliere quella giusta.”

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