Un posto sicuro, di Francesco Ghiaccio

Sembrano contare essenzialmente l’interpretazione della reazione emotiva, il dialogo, l’inquadratura giusta. Per un film di denuncia, c’è troppa carne al fuoco

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Forse in un film già denso di materia narrativa come quella dei danni causati nel corso degli anni dalla fabbrica Eternit a Casale Monferrato bisognava andare di sottrazione. C’erano già gli atti del processo, il luogo, le testimonianze dal vero delle persone che hanno visto morire i familiari che hanno lavorato in fabbrica. Questo non significa affermare tutto poteva essere sufficiente per un documentario. La vicenda raccontata di un padre malato che nel 2011 si rimette in contatto col figlio che non vede da anni, poteva sovrapporsi alla realtà, come nella scena di massa di protesta al Comune.

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matilde gioli in un posto sicuroMa Francesco Ghiaccio, regista di formazione teatrale alla sua opera prima come regista dopo aver scritto la sceneggiatuura di Cavalli (2011), non se la sentiva di sacrificare la parte più di finzione. E se l’inizio, con il malore di Eduardo mentre cerca di guidare la macchina, porta subito dentro la storia, poi invece sembrano esserci continuamente delle ‘lezioni di vero’ (proprio come l’episodio di Scorsese di New York Stories) dove l’arte si mescola alla vita per rappresentarla e interpretarla nuovamente.

Un posto sicuro non porta alla ribalta solo il caso Eternit e non è soltanto la vicenda di un rapporto contrastato padre/figlio. E’ anche un film sulla gestualità del corpo di un attore e sui movimenti dello spazio scenico. Da una parte sembra ritagliato sulla figura del protagonista Marco D’Amore, anche cosceneggiatore. C’è infatti il doppio livello di uno spettacolo teatrale che parli della vicenda. Lui da solo sul palcoscenico. Inizia a correre, respira in modo affannato e tossisce. Come se ci fosse un doppio livello di rappresentazione. C’è quindi la preparazione con i ritagli di giornali, i filmati di repertorio nell’aula multimediale. E la recitazione, l’esibizione della tecnica prende il sopravvento in un film che invece aveva forse bisogno di una maggiore intimità. Dove sembrano contare essenzialmente l’interpretazione della reazione emotiva (il pianto di Matilde Gioli), il dialogo (“La cosa che più mi fa male è che sei più solo di me”), l’inquadratura giusta (Luca/Marco D’Amore disteso tra le palline da ping pong). E poi il movimento della scena: il primo incontro tra Luca e Raffaella con il gioco delle maschere alla festa alla Eyes Wide Shut, lo sketch di Totò in tv (“con la meningite o si muore o si resta stupidi”). Più si vuole entrare dentro la storia della Eternit, più l’impostazione teatrale sembra respingere. Perché Un posto sicuro è un film troppo pensato, perfezionato, che racconta più linguaggi, più visioni di arte insieme. E qui si rischia di fare indigestione.

Regia: Francesco Ghiaccio
Interpreti: Marco D’Amore, Giorgio Colangeli, Matilde Gioli
Distribuzione: Parthénos
Durata: 102’
Origine: Italia 2015

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