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Una battaglia dopo l’altra. La rovente accoglienza dell’ala conservatrice

Il film di Paul Thomas Anderson ha suscitato una serie di critiche negative all’interno dell’ala di destra della critica cinematografica statunitense. Abbiamo riportato alcuni dei commenti più accesi

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L’accoglienza riservata dall’ala conservatrice della critica cinematografica americana nei confronti di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson ha visto muovere una serie di accuse alla presunta “simpatia verso le forze politiche estremiste di sinistra” del film, bollandolo – come ha fatto lo scrittore e opinionista di destra Ben Shapiro – con le seguenti parole: “Un’apologia al terrorismo radicale di sinistra”.

Data la forte connotazione politica della storia narrata dal film (e del romanzo di Pynchon da cui è tratto), così come la caratterizzazione di alcuni personaggi – su tutti il colonnello Lockjaw, interpretato da Sean Penn -, sembra quasi lecito aspettarsi – da un certo versante poltico – delle critiche simili a quella mossa da Shapiro, se non fosse che in alcuni casi i commenti rivolti all’opera di PTA mancano completamente il punto, come ad esempio dimostra il caso del giornalista Armond White del National Review, il quale ha descritto il film con queste parole: “È una macabra coincidenza il fatto che Una battaglia dopo l’altra sia uscito così poco tempo dopo l’assassinio del pacifico attivista conservatore Charlie Kirk. Il film romanticizza chiaramente gli assassinii politici… Anderson provoca intenzionalmente la sete di sangue dei suoi confratelli woke (e degli spettatori Gen Z che non sanno nulla degli anni ’60) celebrando le insulse, eretiche e violente attività del passato e presente liberale. La sua opera manca dell’essenza del lavoro di Pynchon ma sogna una cultura fatta di un infinito ostruzionismo politico e di altri pandemoni. È il film più irresponsabile dell’anno.”

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Gli fa eco lo stesso Shapiro, con dichiarazioni successive a quella citata in apertura: “Ha la sottigliezza di un mattone… La suggestione di base è una teoria del complotto secondo cui gli Stati Uniti sarebbero governati da un gruppo di suprematisti nazionalisti bianchi e cristiani, e che tutte le persone di colore, insieme ad altri incompetenti compagni di viaggio (il personaggio di DiCaprio), andranno a sovvertire il sistema. E questo sistema deve essere neutralizzato anche a costo della propria famiglia, dell’amicizia, della decenza e delle capacità umane di base richieste per il successo. È meglio, in altre parole, essere un completo fallito che spreca la propria vita a piazzare bombe a caso per liberare degli immigrati illegali alla frontiera, piuttosto che essere un cittadino produttivo.”

Sulla stessa linea si collocano anche gli interventi dei giornalisti Peter Gietl (della testata web The Blaze, che ha definito il film “una celebrazione dell’odio e dell’omicidio”) e David Marcus, quest’ultimo di Fox News, che ha commentato così: “Perché il film abbia un minimo di senso, bisogna credere che oggi gli Stati Uniti siano una dittatura fascista.”

Di Caprio Una battaglia dopo l'altra

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Fortunatamente, ci sono state anche analisi più precise e puntuali di Una battaglia dopo l’altra fatte da giornalisti decisamente più attenti rispetto ai loro colleghi citati precedentemente, come David Klion di The New Republic o Richard Newby di The Hollywood Reporter, i quali hanno entrambi negato la presunta connotazione “pro-violenza” del film, sottolineando invece la sua natura pienamente satirica.

Klion scrive infatti: “La parte meno credibile è l’esistenza di un gruppo rivoluzionario di sinistra che reagisce fisicamente. I ribelli nel film di Paul Thomas Anderson somigliano meno ai Weather Underground (organizzazione statunitense di estrema sinistra attiva dal 1969 al 1977) che all’immagine complottista di destra dei cosiddetti ‘super soldati antifa’.”
Chiude, infine, Richard Newby di The Hollywood Reporter, affermando: “Alcune persone sostengono che il film celebri la violenza politica, ma non lo fa affatto. La tratta piuttosto come una soluzione temporanea che, quando si definiscono le regole d’ingaggio, si traduce solo in perdite umane da entrambe le parti e colpisce coloro che soffrono i problemi comuni dell’America.”

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