“Una fragile armonia”, di Yaron Zilberman

Una fragile armonia
Zilberman cerca il parallelismo con la musica di Beethoven per farsi lentamente strada oltre la facciata dietro alla quale si nascondono i membri del celebre quartetto d’archi formato da Christopher Walken, Philip Seymour Hoffman, Kathleen Keener e Mark Ivanir, là dove il tempo ha trasformato i cuori e dove ci si insegue senza sapere ancora che strada prendere

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Una fragile armoniaIl Quartetto per archi in Do diesis minore, op. 131 di Beethoven è composto da sette movimenti, quando lo standard dell’epoca era di quattro. Beethoven voleva che i movimenti fossero suonati senza pausa tra loro. In  questo modo, i musicisti finiscono per perdere l’accordatura dei loro strumenti e suonare ognuno in modo diverso. Cosa bisogna fare, fermarsi? O continuare a lottare per riuscire ad adattarsi in qualche modo gli uni agli altri?” Una fragile armonia è tutto racchiuso nella lezione impartita da Christopher Walken alla sua classe posta nelle battute di apertura del film. Al suo primo lungometraggio di finzione dopo il documentario Watermarks, Yaron Zilberman gioca a colpi di metafora scoperta e gira il suo film da camera partendo dalla musica di Beethoven per farsi lentamente strada oltre la facciata dietro alla quale si nascondono i membri del celebre quartetto d’archi formato da Christopher Walken, Philip Seymour Hoffman, Kathleen Keener e Mark Ivanir, là dove il tempo ha trasformato i cuori e dove ci si insegue senza sapere ancora che strada prendere. 

Il morbo di Parkinson, diagnosticato a Christopher Walken poco prima di iniziare la nuova stagione concertistica del quartetto, è l’incrinatura che mette a nudo tutta la fragilità delle relazioni di quattro musicisti che si accorgono dolorosamente di aver perduto un’armonia tenuta faticosamente in piedi per venticinque anni e che, costretti dall’inevitabilità della vita a guardare dentro se stessi, scoprono un paesaggio fino ad allora sconosciuto, fatto di sentimenti lasciati nell’ombra, di gelosie, di ambizioni e di parole mai dette. Una delle poche intuizioni felici di Zilberman, è difatti proprio quella di insistere più volte sull’immagine dei quattro protagonisti che ritornano sulla visione di un video promozionale girato per celebrare il quartetto, quasi fosse l’unico modo per riacciuffare, anche solo per un istante, quel che è andato per sempre perduto.

Al contrario del pur deludente, ma più sincero Quartet, la giostra di emozioni che continua a far girare in tondo i protagonisti del film nella loro ricerca di una nuova “accordatura” sentimentale viene presto raggelata in un esercizio di scrittura che si limita a compiacersi delle sue citazioni, più o meno colte, e della chiusura stagna di un meccanismo, il parallelismo con la musica, che promette di liberare ma in realtà non permette mai vie di fuga. Solo Christopher Walken, con i suoi sguardi liquidi capaci di spiazzare la macchina da presa, riesce a sottrarsi al frigido rigore imposto da Yaron Zilberman. Proprio al contrario di quanto Beethoven aveva immaginato per l’esecuzione del suo Quartetto, in Una fragile armonia non c’è alcuno spazio per perdersi e per sporcarsi veramente le mani con la vita e le passioni di cui è fatta. Alla fine, quello che resta è solo un paesaggio vuoto, come l’immagine di una New York coperta dalla neve e sempre troppo distante per scorgere la vita che contiene.
 
 
 
Titolo originale: A Late Quartet
Regia: Yaron Zilberman
Interpreti: Christopher Walken, Philip Seymour Hoffman, Kathleen Keener, Mark Ivanir, Imogen Poots
Distribuzione: Good Films
Durata: 105’
Origine: Usa, 2012

 

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