Una giornata nell’archivio Piero Bottoni, di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Una rigenerante esperienza filmica che interroga urgentemente il nostro presente almeno quanto si impegna a fare con il passato. Presentato al Torino Film Festival, a Filmmaker e al Laceno d’oro

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Una voce fuoricampo si insinua nei fotogrammi in nero e nei titoli di testa del film. La ascoltiamo come l’eco di un passato lontano, attraverso un nastro magnetico analogico, mentre le parole si fanno largo tra le imperfezioni della materia ricordando la triennale di Milano del 1926 e i quesiti urbanistici connessi a un mondo che la Seconda guerra mondiale avrebbe spazzato via. Poi una sovrimpressione ci fa leggere l’esergo: “la prima ascensione alla montagna di Milano l’ho fatta in sogno”, con l’inquadratura che si apre a fotografie d’epoca, disegni originali e mani guantate da archivista che maneggiano con cura ogni documento ripreso in piano strettissimo. Infine, una seconda voce fuori campo proveniente in maniera nitida dal nostro tempo ci spiega che “il disegno è la chiave che ha aperto il suo rapporto creativo con il mondo”. Ma di chi stiamo parlando? Ecco, non conosciamo ancora il nome del protagonista di questa storia, lo scopriremo poco dopo… ma già ne riconosciamo i sogni, i desideri, le utopie e le tracce mediali come parte integrante di un passato condiviso riemerso dalla memoria del Novecento. Un montaggio di scarti significanti che mette in dialettica tempi, formati, media e dispositivi diversi per cercare di cogliere il fuori campo visibile dell’anima di una persona. Ossia quella materia oscura che origina tutte le spira mirabilis di racconto possibili e che il cinema si arroga ancora oggi il compito di restituirci in forme diverse. Basterebbe solo quest’incipit folgorante per comprendere la complessità e l’urgenza dello sguardo sulle cose di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti.

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Ora siamo pronti a chiederci: chi è Piero Bottoni? Architetto, urbanista, restauratore, fotografo, politico e tante altre cose… certamente un grande protagonista del suo tempo. Un uomo che tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo ha sognando spazi metropolitani che unissero il razionalismo architettonico alle esigenze materiali dei singoli e delle comunità. E poi, dopo la guerra, ha avuto il coraggio di gettare lo sguardo (e la macchina da presa!) tra le macerie fisiche della sua Milano sognando la modernità come concetto conciliabile con la giustizia sociale: “la casa per tutti“. L’ideazione del quartiere sperimentale QT8 e il pastiche tra classico e moderno che immagina Bottoni attira da subito l’attenzione di personalità artistiche del calibro di Roberto Rossellini e Fernand Léger. Sì, ma… la bellezza non può essere il fine, “la bellezza non dev’essere solo per pochi”, rivendicando una presa di posizione etica che cerca di razionalizzare gli spazi con uno spirito socialdemocratico e progressista di visionaria potenza. Proprio come la sua utopia più grande, il Monte Stella, ossia una collina artificiale eretta sulle macerie che possa ergersi come monumento alla memoria delle sofferenze della guerra ma anche come paesaggio utile a guardare dall’alto la città e immaginare nuovi modi di (con)vivere.

Disegni, film, foto, inchieste, progetti, voci: la straordinarietà del cinema di D’Anolfi e Parenti è proprio questa sensazione di vivere in presa diretta l’esperienza dei cineasti e l’atto di conoscenza in divenire che essa sottende. Una ricerca di verità visibili oltre il document(ari)o da raggiungere solo con il montaggio. Quindi un cinema liberissimo che continua ad autoalimentarsi – tornano le statue del Duomo pericolanti dopo i bombardamenti di Milano, in un materiale d’archivio che sembra incredibilmente averci già raccontato quell’infinita fabbrica – trovando da un lato origini sempre più profonde da sondare e immaginando dall’altro sempre nuovi orizzonti di senso da sperimentare. Insomma, la breve giornata nell’archivio di Piero Bottoni è una rigenerante esperienza filmica che interroga urgentemente il nostro presente almeno quanto si impegna a fare con il passato.

Se il Monte Stella è nato, è cresciuto, si è coperto di alberi, di viottoli e di strade, è perché fu un sogno e una poesia e perché io vi ho creduto. Giacché sogno e poesia muovono, malgrado le apparenze, il mondo”. Piero Bottoni

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