Una spia e mezzo, di Rawson Marshall Thurber

Il regista ha in serbo anche un messaggio edificante per il suo buddy movie antibullismo, e dunque gli sketch e le battute raramente abbandonano il recinto del politicamente corretto per famiglie

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Le apparizioni comiche e “brillanti” di Dwayne Johnson seguono una linea precisissima di reinnesto del femminile sulla figura prepotentemente virile dell’ex-wrestler, in modo da sfruttare in maniera più o meno riuscita l’effetto grottesco che ne consegue. Con la caratterizzazione di questo sfigato che al college sognava solo di essere Molly Ringwald in Sixteen Candles e ha messo su i muscoli crescendo come reazione alle angherie dei prepotenti dello spogliatoio, The Rock prosegue sulla chiara scia del Mark Wahlberg “leggero”, e infatti il testo chiave rimane il loro team up per lo straordinario Pain & Gain: tutti i personaggi caricaturali di Dwayne (anche quelli precedenti), dalla fatina dei denti a questo agente CIA con le magliette con gli unicorni e la passione del ballo senza vestiti, sono in qualche modo variazioni del personaggio interpretato per Michael Bay, e trovano probabilmente le radici in una tradizione tutta hollywoodiana di machos con l’animo sensibile che può davvero risalire quantomeno fino ai film di Mister Belvedere il governante rubacuori.
In questo caso il regista Rawson Marshall Thurber ha in serbo anche un messaggio edificante per il suo buddy movie antibullismo, e dunque gli sketch e le battute raramente abbandonano il recinto del politicamente corretto per famiglie, a differenza di altre sortite nel poliziesco demenziale recente come I poliziotti di riserva (per restare sull’asse Rock-Wahlberg) o Poliziotti Fuori: a farne le spese è soprattutto la parlantina di Kevin Hart, che così ripulita raggiunge il risultato di apparire soltanto insopportabilmente isterica, nonostante il suo personaggio si avvicini in più di un’occasione proprio a quello interpretato per Kevin Smith da Tracy Morgan.

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????????????????????Arricchito come si conviene da comprimari e cammeo di lusso (Amy Ryan, Aaron Paul, Jason Bateman, Melissa McCarthy), Central Intelligence è forse un tentativo di troppo nel sottogenere “spia super addestrata coinvolge ignara persona comune nella sua perigliosissima missione”, sempre in auge da Innocenti Bugie fino a Spy. L’avventura di questo “google di cioccolato” (per via delle sue capacità informatiche) e di questo “Bourne in calzoncini”, come i due si apostrofano a vicenda, non riserva né gag micidiali né sequenze action particolarmente notevoli, per quanto ben congegniate, e a volte si impantana in digressioni che smarriscono l’efficacia nonsense spezzando eccessivamente il ritmo slapstick della vicenda (il siparietto della terapia di coppia…).
Visti incipit ed epilogo, è probabile anche che lo schema di riferimento fosse quello dei due Jump street con l’accoppiata energumeno fragile – nanerottolo pestifero Channing Tatum/Jonah Hill: la percentuale black della variante si fa sentire soprattutto nell’arco del personaggio di Hart, che cerca un riscatto da una vita grigia e da una carriera d’ufficio “come un Will Smith nero” dopo aver brillato negli anni dell’high school come beniamino di tutta la scolaresca, ennesima e azzeccata allegoria di un’America che forgia la sua propaganda nell’indottrinamento degli anni della formazione scolastica visti come palestra alla competizione sociale e all’arrivismo individualista, e poi abbandona i propri prototipi ad un’esistenza là fuori priva di reali possibilità di smarcamento.

Titolo originale: Central Intelligence

Regia: Rawson Marshall Thurber

Interpreti: Dwayne Johnson, Kevin Hart, Amy Ryan, Aaron Paul, Danielle Nicolet

Distribuzione: Universal

Durata: 107′

Origine: Usa 2016

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