Una vita in esilio. Theo Angelopoulos
Ripubblichiamo il resoconto di una chiacchierata fatta a Lecce nel 2007 con Theo Angelopoulos, in occasione della retrospettiva organizzata dall'VIII Festival del Cinema Europeo.
"Quando sono entrato in questo hotel, per venire verso di voi che eravate seduti qui ad aspettarmi ho fatto un tragitto dalla porta d'entrata. Il mio è stato anche un movimento interiore, la mia preparazione psicologica alla chiacchierata con voi. Se il cinema sincopato di questi tempi televisivi in cui tutti girano lo stesso film decide di tagliare dal montaggio finale la mia camminata dalla porta sino a questi divanetti, preferendo incollare le immagini di me che entro e di me che mi siedo a parlare, getta via del tutto la rappresentazione di questo mio movimento interiore. Chiunque intenda il cinema così, ovvero unicamente una questione di ritmo, come gli americani, considera il Cinema un'arte inferiore." Theo Angelopoulos parla a voce molto bassa, sprofondato nel divano della hall dell'hotel che lo ospita. Una comitiva di turisti immancabilmente caciaroni è scesa a prendere il caffé. Le casse nel muro spargono nell'aria le note della colonna sonora di The Blues Brothers. Percepire le parole del regista, che parla in francese, o quelle del suo storico produttore Amedeo Pagani che le traduce in italiano, è impresa faticosa. Ci si prova a fargli qualche domanda:
Quindi Lei è d'accordo con il sociologo Cassano, quando ne Il pensiero meridiano dice, più o meno: "Bisogna essere lenti. Perchè essere lenti vuol dire sedersi a leggere un libro, mentre correre equivale a fermarsi a guardare solo la copertina."
Sì. E' un'affermazione giustissima. Vedete, è una questione di tradizione. La nostra tradizione europea ha molta più familiarità coi tempi lunghi e lenti di quella statunitense. Pensiamo alla letteratura: in America non hanno certo Proust. Hanno Faulkner. E' un grandissimo scrittore anch'egli, e infatti ha molti più estimatori in Europa che in patria. Oppure Joyce: il lunghissimo monologo senza punteggiatura di Molly Bloom nell'ultima parte dell'Ulisse non vi sembra un formidabile pianosequenza?
Il Suo cinema non pare volersi discostare troppo da questa tradizione europea…
Sono stato espulso dalla Scuola di Cinema che frequentavo perchè il mio Professore di messinscena pretendeva risolvessi un dialogo tra un uomo e una donna con i canonici campo/controcampo/totale, e invece io mi sono intestardito a realizzarlo con un pianosequenza a 360° come quello che avevo appena visto al cinema in Cronaca di un amore di Antonioni. Ma sto facendo dei progressi nel campo della brevità: per il prossimo Festival di Cannes mi hanno commissionato un corto di tre minuti. Credo che inizierò a girare con gli attori e la troupe, e quando il timecode segnerà tre minuti, urlerò "Stop!".
Ci parli un po' di più di questo progetto…
Non posso raccontarvelo per bene, perchè è vietato dal regolamento del Festival di Cannes. Posso dirvi che saranno tre minuti dedicati alla memoria di Marcello Mastroianni, con cui girai Il passo sospeso della cicogna. Mi sono sbizzarrito in una serie di giochetti digitali con la sua immagine estratta da vari film. Anche se girerò un film totalmente in digitale solo quando l'alta definizione avrà raggiunto il grado di cromatismo, illuminazione, e profondità di campo della pellicola. Ci vorranno ancora anni, ma sono sicuro che giungeremo a questo traguardo tecnologico.
Nel frattempo, la Sua nuova Trilogia sarà portata a termine…
Sono al lavoro sul secondo episodio di questo trittico dedicato alla Storia del Ventesimo Secolo, il cui primo tassello è rappresentato da La sorgente del fiume. Per il futuro sto pensando invece ad un film di fantascienza, ambientato nel 2040. Lavorerò ancora con Tonino Guerra: sono sicuro della sua collaborazione, anche se ancora non gliel'ho chiesta. Io sono un enfant du siecle, e non posso esimermi ora come ora dal tracciare una vera e propria resa dei conti con la storia del mio Novecento. Che è soprattutto una storia di esili, e di esiliati.
Lei si sente ancora un 'esiliato'?
Io mi sento, e mi sentirò sempre, in esilio. In esilio nei confronti della situazione sociale, culturale e politica dei giorni nostri. C'è un film di Bresson che davvero racchiude in sé una rappresentazione perfetta dei tempi moderni, ed è Au hasard Balthazar [storia delle angherie subite dall'asino Balthazar per mano degli uomini, ndr]. Nel 1970 venni a Roma a presentare un mio film per la prima volta, in una proiezione a notte fonda organizzata da Lino Micciché. Il pubblico era composto in larga parte di esiliati politici provenienti dalla Grecia, che dopo il film si fermarono tutti a Piazza Navona a ricordare insieme la propria Terra lontana. E' proprio come si sente dire nel finale de Il passo sospeso della cicogna: "Abbiamo attraversato tutte le frontiere, ma siamo ancora qui. Quante frontiere dovremo ancora attraversare, prima di sentirci a casa?"