Una voce fuori dal coro, di Yohan Manca

Un’opera prima poco originale ma molto promettente che riesce a superare i clichè del genere emozionando con un racconto familiare dalla sincerità disarmante.

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Presentato a Cannes 2021 nella sezione Un Certain Regard, Una voce fuori dal coro racconta la storia di Nour, un ragazzo di quattordici anni di origine italiana e algerina che vive con i suoi tre fratelli in una località della Costa Azzurra francese. Da quando hanno perso il padre, i quattro sono costretti ad arrangiarsi con vari lavoretti poco leciti e rispettabili per contribuire all’economia familiare e alla cura della madre malata. Il giovane Nour ha già in mente di lasciare la scuola e trovare un’occupazione più “produttiva”, finché non incontra Sarah, l’insegnante di canto che riesce a risvegliare in lui l’amore travolgente per la musica lirica che aveva ereditato dal padre. Per Nour, la passione per la musica e in particolare per la voce di Luciano Pavarotti in La Traviata sono la prima vera occasione di aprirsi ad un mondo diverso da quello in cui è cresciuto con i suoi fratelli. Il contrasto tra l’influenza dell’insegnante e quella dei tre fratelli darà modo alla famiglia di rimettere in discussione equilibri e prese di posizione ormai sorpassate.

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Per il suo lungometraggio d’esordio, il regista Yohan Manca ha preso spunto da un’opera teatrale di Hédi Tillette de Clermont-Tonnerre e l’ha arricchita con ricordi personali della propria infanzia. Ad un primo sguardo superficiale, Una voce fuori dal coro potrebbe sembrare solo l’ennesima classica storia di riscatto sociale di un ragazzo che riesce ad affacciarsi ad un mondo diverso dal suo, un po’ come il britannico Billy Elliot. Ma in profondità c’è altro, c’è il racconto drammatico di una famiglia di emigrati algerini arrivata molti anni prima con una nave al porto di Sète in Costa Azzurra. Prima la morte del padre e poi la grave malattia della madre hanno lasciato i quattro fratelli soli con i loro problemi economici, ognuno di loro ha dovuto imparare a sopravvivere per conto proprio in un mondo duro e spietato. Abel è il capofamiglia, Mo il più frivolo, mentre Hèdi è la testa calda. L’atmosfera a casa è sempre tesa, Abel ha i nervi a fior di pelle e sembra che possa esplodere da un momento all’altro e prendersela con qualcuno dei fratelli più piccoli. La verità è che i ragazzi hanno un legame forte, quasi morboso, hanno bisogno della loro madre e non sono affatto pronti a lasciarla andare. La disperazione si legge nei loro occhi e traspare dal loro comportamento, ma solo Nour impara ad esprimersi ed esternare i propri sentimenti con il potere della musica. “Tu credi di lasciare il quartiere ma quello ti resta sempre addosso”, spiega Mo al fratello più piccolo, chissà che il canto non possa essere una via di uscita da quell’ambiente così complicato.

Nour si appassiona alla lirica grazie al padre, il quale era solito corteggiare la madre cantando La Traviata, ma si avvicina al canto solo per un incontro casuale. Nell’ambito dei servizi sociali per la comunità, il ragazzo si trova a dipingere il corridoio della sua scuola durante la pausa estiva. Da una delle classi sente arrivare la voce solenne di Luciano Pavarotti e decide così di dare una sbirciata dalla finestra più in alto, un po’ come il giovane Noodles di C’era una volta in America decide di spiare Deborah durante le prove di danza. Non è solo la semplice curiosità per un mondo altro ad accomunare Nour e Noodles, ma la voglia di entrare in contatto con un aspetto diverso della propria natura, un lato “femminile” e sensibile che sembra essere proibito nel loro ambiente. A casa di Nour si respira una mascolinità primordiale quasi animale, i fratelli sono sempre a petto nudo e si ringhiano contro violentemente, non c’è alcuno spazio per attività inutili come il canto. In quella classe al femminile e con l’insegnante Sarah, Nour si sente protetto e quindi libero di esplorare finalmente se stesso. Non mancheranno gli scontri, ovviamente. Sarah è pur sempre una sofisticata donna borghese di città che non ha idea dell’esistenza difficile del ragazzo, e Nour non esiterà a farglielo presente. In momenti come questo la relazione tra insegnante e studente può ricordare vagamente quella di Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmüller, ma forse è solo la deformazione di uno spettatore italiano. In ogni caso il canto diventa per Nour un mezzo fondamentale per riuscire ad esprimersi, ma in realtà c’è una sola persona per cui decide di cantare, sua madre. Sarah gli ripete di “cantare sempre per qualcuno”, in questo modo il ragazzo si sostituisce idealmente al padre (emiliano come il suo idolo Pavarotti) per dedicare l’aria Una furtiva lagrima alla madre costretta a letto. La sua voce esiste solo in funzione della madre, ma un giorno sarà costretto a trovare il modo di cantare anche in sua assenza.

Una voce fuori dal coro è un inno alla gioia di vivere e di cantare, alterna attimi molto emozionanti a sequenze di spietata umanità. La fotografia di Marco Graziaplena enfatizza molto bene la netta differenza tra i diversi ambienti in cui gravita Nour, come la spiaggia soleggiata, la casa più contrastata e l’aula rossastra in cui Sarah tiene le lezioni di canto. Manca trova il modo di caratterizzare attentamente ognuno dei personaggi sfruttando i volti e l’intensità degli sguardi, tra tutti brilla la spontaneità del piccolo Maël Rouin Berrandou e l’energia di Dali Benssalah, che dopo Athena e No Time to Die si conferma uno dei nomi più interessanti del panorama europeo. Un aspetto apprezzabile del film riguarda la rappresentazione del quartiere popolare, senza patetismi e drammi ingiustificati ma con il giusto realismo. Tutto ciò consente di sorvolare su alcune ingenuità di sceneggiatura e su una certa ridondanza riguardo gli aspetti emotivi, aggravate dai troppi finali decisamente non necessari.

Una voce fuori dal coro è un’opera prima poco originale ma molto promettente che riesce a superare i clichè del genere emozionando con un racconto famigliare dalla sincerità disarmante.

Titolo originale: Mes frères et moi
Regia: Yohan Manca
Interpreti: Maël Rouin Berrandou, Judith Chemla, Dali Benssalah, Sofian Khammes, Moncef Farfar
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 108′
Origine: Francia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
4 (4 voti)
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